Crescita dei prezzi doppia rispetto a quella delle retribuzioni
Le retribuzioni contrattuali orarie nella media del 2012 sono aumentate dell'1,5% rispetto all'anno precedente. Lo rileva l'Istat, aggiungendo che si tratta della crescita media annua più bassa dal 1983.
Nella media del 2012 la forbice tra l'aumento delle retribuzioni contrattuali orarie (+1,5%) e l'inflazione (+3,0%), su base annua, è stata di 1,5 punti percentuali.
Quindi la crescita dei prezzi è stata doppia rispetto a quella dei salari. Si tratta del divario maggiore, a sfavore delle retribuzioni, dal 1995.
Alla fine del 2012, inoltre, sono scaduti 32 contratti, di cui 16 nella pubblica amministrazione, e i dipendenti in attesa di rinnovo sono 3,709 milioni (circa 3 milioni nel pubblico impiego)
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mercoledì 30 gennaio 2013
Produttività: CGIL, decreto inadeguato e sbagliato, peggiorato accordo separato
In una nota la Segreteria Nazionale del sindacato di Corso d'Italia boccia il dpcm sulla detassazione del salario di produttività: "si tratta di un grave intervento sull'autonomia della contrattazione" e "non contiene criteri per la crescita della produttività"
Il provvedimento sulla produttività è “inadeguato e sbagliato, nella forma e nella sostanza” e per questo il giudizio della CGIL è “negativo”. In una nota la Segretaria nazionale del sindacato di corso d'Italia analizza e commenta il dpcm sulla detassazione del salario di produttività, motivando così la bocciatura: “Nella forma riprende e addirittura peggiora i contenuti dell'accordo separato sulla produttività, nella sostanza perché è sprovvisto di criteri che possano effettivamente incidere su una autentica crescita della produttività”.
Nel dettaglio nella nota si osserva che il decreto “cancella, in via definitiva, qualsiasi riferimento a voci previste dai contratti nazionali di lavoro (turni, lavoro notturno, lavoro festivo e domenicale). Voci che costituiscono prestazioni che incidono, più di altre, sulla produttività e sulla competitività delle imprese con il risultato di ridurre così le retribuzioni dei lavoratori interessati a queste prestazioni in quanto non più beneficiari della detassazione riconosciuta negli anni passati”.
In alternativa, spiega ancora la segreteria della CGIL, “vengono introdotti criteri del tutto avulsi da questi contesti di orario, quali la fungibilità delle mansioni (leggi demansionamento), l'impiego delle nuove tecnologie in rapporto alla salvaguardia dei diritti dei lavoratori (leggi controllo a distanza) che possono al contrario deprimere la produttività perché peggiorano le condizioni di lavoro e i diritti delle persone”. Il sindacato punta inoltre il dito contro “l'altrettanto grave intervento sull'autonomia della contrattazione, e quindi sull'attuale previsione dei contratti nazionali, laddove il decreto prevede il criterio del non superamento delle due settimane di ferie consecutive e della programmazione non continuativa delle giornate residue per poter usufruire della detassazione.
L'unico aspetto “salvaguardato dal decreto” è per la CGIL “la conferma della detassazione sui premi di produttività che costituisce una prassi per larga parte della contrattazione svolta in questi ultimi ultimi anni”. Infine, per quanto riguarda gli importi, “se da una parte è stata recepita la richiesta dell'innalzamento a 40 mila euro del reddito di riferimento su cui agisce la detassazione, dall'altra è stato ridotto a 2.500 euro il tetto dei benefici per singolo lavoratore che negli anni passati era previsto fino a 6 mila e poi sceso a causa dei tagli intervenuti”. Per queste ragioni, quindi, conclude la nota Cgil, “il nostro giudizio sul decreto è negativo. Si tratta ora di verificare nel rapporto con le controparti se esistono le condizioni concrete entro le quali la contrattazione collettiva può esercitare comunque una funzione positiva per affrontare il rapporto tra salari e produttività, in un quadro di corrette relazioni tra le parti”.
Il provvedimento sulla produttività è “inadeguato e sbagliato, nella forma e nella sostanza” e per questo il giudizio della CGIL è “negativo”. In una nota la Segretaria nazionale del sindacato di corso d'Italia analizza e commenta il dpcm sulla detassazione del salario di produttività, motivando così la bocciatura: “Nella forma riprende e addirittura peggiora i contenuti dell'accordo separato sulla produttività, nella sostanza perché è sprovvisto di criteri che possano effettivamente incidere su una autentica crescita della produttività”.
Nel dettaglio nella nota si osserva che il decreto “cancella, in via definitiva, qualsiasi riferimento a voci previste dai contratti nazionali di lavoro (turni, lavoro notturno, lavoro festivo e domenicale). Voci che costituiscono prestazioni che incidono, più di altre, sulla produttività e sulla competitività delle imprese con il risultato di ridurre così le retribuzioni dei lavoratori interessati a queste prestazioni in quanto non più beneficiari della detassazione riconosciuta negli anni passati”.
In alternativa, spiega ancora la segreteria della CGIL, “vengono introdotti criteri del tutto avulsi da questi contesti di orario, quali la fungibilità delle mansioni (leggi demansionamento), l'impiego delle nuove tecnologie in rapporto alla salvaguardia dei diritti dei lavoratori (leggi controllo a distanza) che possono al contrario deprimere la produttività perché peggiorano le condizioni di lavoro e i diritti delle persone”. Il sindacato punta inoltre il dito contro “l'altrettanto grave intervento sull'autonomia della contrattazione, e quindi sull'attuale previsione dei contratti nazionali, laddove il decreto prevede il criterio del non superamento delle due settimane di ferie consecutive e della programmazione non continuativa delle giornate residue per poter usufruire della detassazione.
L'unico aspetto “salvaguardato dal decreto” è per la CGIL “la conferma della detassazione sui premi di produttività che costituisce una prassi per larga parte della contrattazione svolta in questi ultimi ultimi anni”. Infine, per quanto riguarda gli importi, “se da una parte è stata recepita la richiesta dell'innalzamento a 40 mila euro del reddito di riferimento su cui agisce la detassazione, dall'altra è stato ridotto a 2.500 euro il tetto dei benefici per singolo lavoratore che negli anni passati era previsto fino a 6 mila e poi sceso a causa dei tagli intervenuti”. Per queste ragioni, quindi, conclude la nota Cgil, “il nostro giudizio sul decreto è negativo. Si tratta ora di verificare nel rapporto con le controparti se esistono le condizioni concrete entro le quali la contrattazione collettiva può esercitare comunque una funzione positiva per affrontare il rapporto tra salari e produttività, in un quadro di corrette relazioni tra le parti”.
domenica 20 gennaio 2013
Se il datore di lavoro non è puntuale nei versamenti dei contributi non è colpevole di evasione bensì di omissione
Lilla Laperuta
In materia di obbligazioni contributive nei confronti delle gestioni previdenziali ed assistenziali, la Corte di Cassazione si è pronunciata a favore dell'ipotesi più lieve di omissione contributiva, a fronte della non corretta e non puntuale trasmissione delle denunce contributive mensili e della effettuazione dei conseguenti versamenti. Con la sentenza n. 896 pubblicata il 16 gennaio 2013, la Corte di Cassazione specifica, invero, che l'omessa o infedele denuncia mensile all'INPS (attraverso i cd. modelli DM10) di rapporti di lavoro o di retribuzioni erogate, ancorché registrati nei libri di cui è obbligatoria la tenuta, concretizza l'ipotesi di "evasione contributiva" di cui all'art. 116, L. 388 del 2000. Si configura, invece, la meno grave fattispecie di "omissione contributiva" contemplata dalla medesima norma, allorquando, come nella fattispecie in esame, il datore di lavoro, pur avendo provveduto a tutte le denunce e registrazioni obbligatorie, ometta il pagamento dei contributi. Deve infatti ritenersi, ad avviso della Suprema Corte, che l'omessa o infedele denuncia configuri occultamento dei rapporti o delle retribuzioni o di entrambi e faccia presumere l'esistenza della volontà datoriale di realizzare tale occultamento allo specifico fine di non versare i contributi o i premi dovuti. Conseguentemente, grava sul datore di lavoro inadempiente l'onere di provare la mancanza dell'intento fraudolento e, quindi, la sua buona fede.
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