Giovanni Negri21 maggio 2013
MILANO
In materia di sicurezza lavoro la responsabilità è di tutto il consiglio di amministrazione. A meno che, con delibera, la posizione di garanzia non venga affidata a un singolo consigliere. Lo precisa la Corte di cassazione, con la sentenza n. 21628 della Quarta sezione penale, intervenuta sul caso di un incidente mortale verificatosi a Genova.
La Cassazione, a proposito della determinazione del perimetro della responsabilità in un'impresa gestita da una società di capitali, avverte che l'orientamento ormai consolidato è quello dell'assegnazione degli obblighi in materia di infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro in capo, indistintamente, a tutti i componenti del consiglio di amministrazione. In linea generale, infatti, il presidente del consiglio di amministrazione di una società di capitali non può da solo essere considerato rappresentante della società; la rappresentanza appartiene invece all'intero consiglio di amministrazione.
Con un'eccezione però: l'approvazione da parte del cda di una delega conferita a un singolo consigliere o amministratore delegato che trasferisce l'obbligo di adottare le necessarie misure antinfortunistiche e di vigilare sulla loro applicazione dallo stesso cda al delegato. In capo al consiglio di amministrazione, a questo punto, rimane un generico dovere di controllo sul generale andamento della gestione e di intervento sostitutivo nel caso di mancato esercizio della delega.
Nel caso approdato in Cassazione si era verificato proprio questo passaggio: una specifica delibera aveva assegnato al presidente del consiglio di amministrazione anche le funzioni di «datore di lavoro per la sicurezza». In questo modo, sottolinea la Cassazione, era duplice la funzione di garanzia assunta: come datore di lavoro, nella veste di presidente del cda, e come destinatario della specifica delega per la sicurezza conferita da parte del cda.
A scansare la responsabilità non è poi servita neppure l'esistenza, nell'organigramma aziendale, della figura del responsabile del servizio di prevenzione e protezione. Su questo punto la sentenza ricorda che la responsabilità penale del datore di lavoro in materia di sicurezza non è esclusa per la sola designazione del responsabile del servizio. Si tratta infatti di un soggetto che non è titolare di alcuna posizione di garanzia quanto al rispetto della normativa antinfortunistica e che agisce piuttosto da ausiliario del datore di lavoro. E a quest'ultima tocca sempre provvedere alla neutralizzazione delle situazioni di rischio.
La Corte fa però un passo in più e introduce anche il diverso istituto della delega di funzioni. «Solo tale istituto, comportando il subentro del delegato nei poteri e nelle prerogative connesse alla posizione di garanzia del datore di lavoro, quale diretto destinatario degli obblighi inerenti la sicurezza dei lavoratori, determina un esonero di responsabilità di quest'ultimo in quanto le funzioni anzidette vengono trasferite al delegato». Nessuna confusione quindi è possibile tra i due istituti.
Per i giudici, infine, una delega, per essere completa, deve prevedere necessariamente alcuni requisiti: trasferimento di poteri deliberativi, di organizzazione e gestione, riconoscimento di un'autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate. Non risponde allora certo a queste condizioni quanto si era verificato nella società e cioè il conferimento di un incarico di consulenza esterna per l'organizzazione di un piano operativo degli adempimenti in materia di sicurezza. A salvare il presidente del cda, cui però la Corte ha ritenuto possibile la concessione delle attenuanti, non è servito neppure lamentare una sostanziale imperizia tecnica.
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domenica 26 maggio 2013
Esodati e riforma pensioni, ok dell’Inps sull’uscita flessibile dal lavoro

Uscita dal lavoro in anticipo o in ritardo: l’Inps dice sì
L’unica via di prevenire il ripetersi di altre sciagure come quelle degli esodati è mettere mano alla riforma delle pensioni. Ne sono convinti sia dalle parti del governo che negli uffici previdenziali dell’Inps, naturalmente in prima linea sul fronte della sostenibilità del welfare. Così, prende corpo la proposta di uscita anticipata firmata dall’ex ministro del Lavoro Damiano, mentre il titolare del dicastero, Enrico Giovannini, spiega il diverso trattamento riservato a chi esodati lo è già e chi, invece, lo potrebbe diventare.
Sul fronte della riforma delle pensioni, l’ipotesi che va per la maggiore è quella che prevede il ritiro anticipato dall’occupazione anche a 62 anni di età e 35 di contributi – dunque con minimo 3 anni rispetto alla normativa attuale – con l’introduzione, però, del taglio di almeno 1,5 volte l’assegno sociale previsto. Insomma, si apre una finestra per chiudere la propria carriera professionale, ma il prezzo da pagare è alto. Allo stesso modo, la misura dovrebbe trovare un contrappeso nel pacchetto di incentivi previsti nei confronti di chi, invece, sceglierà la via opposta, con il bonus nella mensilità previdenziale per ogni anno lavorato in più. Da ultimo, per gli irriducibili della scrivania, si sta vagliando anche la possibilità dell’addio soft al posto di lavoro, volgendo il proprio rapporto da tempo pieno a part time, e favorendo, in questo modo, l’ingresso di nuovi giovani come apprendisti o, ancor meglio, con rapporti a tempo indeterminato.
Questo, il quadro – ancora da discutere – della prima bozza di proposta che vede accorpate le due anime, quella dall’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano, esponente Pd e presidente della Commissione competente alla Camera dei deputati, e, naturalmente, del successore di Elsa Fornero, Enrico Giovannini. Ma il progetto di riordino della riforma pensioni, principale responsabile della falla esodati, ha già convinto un altro sponsor di primissima fascia, se è vero che, giusto ieri, il presidente dell’Inps Antonio Mastrapasqua si è detto convinto che il sistema messo in cantiere avrebbe un’entità sopportabile per le casse dello Stato.
E proprio sul problema esodati, l’Inps, seppure a rilento, continua negli esami delle proposte, con il primo resoconto pubblicato a seguito dell’insediamento del nuovo ministro. A questo proposito, sempre nella giornata di ieri, Giovannini ha confermato al Senato che, dei 65mila salvaguardati previsti con il primo dei tre decreti, i 3mila ancora scoperti verranno reintegrati nelle successive operazioni di tutela, che dovrebbero portare al salvataggio di 130.130 ex lavoratori senza pensione.
Resta, comunque, il fatto che il numero dei lavoratori già ammessi al trattamento pensionistico superi di poco le 7mila unità, dunque ben lontano dalle cifre già messe in preventivo. Gli esclusi, ha spiegato il ministro, dovranno attendere ancora “non perché l’Inps sia in ritardo rispetto al trattamento degli altri casi, ma perché si tratta di salvaguardati che andranno in pensione progressivamente”.
A tal proposito, Giovannini ha messo in guardia di non confondere quelli comunemente denominati “esodati” dagli altri invece “esodandi”, “cioè persone che in futuro si troveranno in questa condizione”. In aggiunta, si trovano anche i cosiddetti “bloccati”, ossia coloro che “sono destinati a perdere il posto di lavoro e non avranno ancora maturato i requisiti per la pensione”.
Insomma, una pluralità di casi e di situazioni che, a parere di Giovannini, richiede una revisione mirata del sistema, che trova nella flessibilità di uscita dal mondo del lavoro un primo, importante appiglio per prevenire ulteriori, e potenzialmente irreversibili crisi previdenziali. Si tratta, ha detto il ministro di “un disegno del sistema che va modellato in modo molto attento, per le implicazioni sia sulle persone sia sugli elementi finanziari di sostenibilità del sistema.”
mercoledì 8 maggio 2013
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