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giovedì 2 ottobre 2014

TTIP il video che nessuno vi farà mai vedere


Ttip non è una sigla innocua ......

Un progetto che permetterà alle multinazionali statunitensi di imporre scelte commerciali ai paesi dell’Unione. Sabato 27 settembre con Monica Di Sisto

E’ l’acronimo dietro cui si nasconde un progetto in avanzato stato di realizzazione che avrà ricadute negative sul nostro vivere quotidiano, investendo prima di tutto la nostra libertà di scegliere ciò che consumiamo, e quindi di poter fare scelte etiche, consapevoli, sostenibili.
Ttip significa infatti Transatlantic Trade and Investment Partnership, cioè Partenariato Transatlantico sul commercio e gli investimenti e ha come obiettivo finale quello di instaurare tra Usa e Ue nuove relazioni commerciali, soprattutto riguardanti la parte normativa, che permettano alle multinazionali statunitensi di imporre scelte commerciali ai paesi dell’Unione, sterilizzando la capacità di opporsi all’invasività delle stesse sui mercati europei. Il maggior controllo dei mercati e la conseguente imposizione di determinati prodotti saranno agevolati da nuove regole che permetteranno alle multinazionali di chiedere il risarcimento dei danni commerciali dovuti alle restrizioni nella commercializzazione dei loro prodotti che stati o enti locali volessero prendere a tutela dei cittadini (dei consumatori).
Da quando è stato avviato il processo di globalizzazione dell’economia, che ha comportato la diffusione del modello di consumo occidentale e dei suoi prodotti massificati, si sono sviluppate molte esperienze alternative, ciascuna in relazione ad ambiti diversi, per contenere lo strapotere delle multinazionali (vera ossatura e principali beneficiarie della globalizzazione) e per mantenere o ripristinare spazi di autonomia nella scelta del modello di consumo, della relazione con l’ambiente, dei comportamenti sociali, di pensiero, in una parola, di vita (Seed Savers e banche delle sementi tradizionali, movimenti di opposizione agli Ogm, Gruppi di Acquisto Solidale, Chilometro Zero, Commercio equo, solidale ed etico, ecc.) Queste pratiche, che hanno conquistato piccole ma significative fette di mercato, sono oggi messe sotto attacco dall’arroganza delle Corporations.

E’ dunque importante che ciascuno di noi sia consapevole della pericolosità di questo trattato e delle sue implicazioni.
Per diffondere una maggiore informazione sull’argomento, il Comitato L’Altra Europa – Perugia ha organizzato un incontro con Monica Di Sisto, vicepresidente di Fair Watch, docente di Scienze Sociali, moderato da Enza Caruso, docente di Economia Pubblica.


L’appuntamento è per SABATO 27 SETTEMBRE, ORE 16,30 SALA S. CHIARA, Via della Tornetta 5, Perugia.

venerdì 26 settembre 2014

Jobs act, un manifesto della malafede



Il governo Renzi concede alle imprese libertà di spionaggio sui dipendenti, con telecamere e quant’altro. E questa violazione elementare dei diritti della persona viene da quegli stessi politici che si indignano di fronte a intercettazioni telefoniche della magistratura che tocchino loro o le loro amicizie.
Con il demansionamento si afferma la licenza di degradare il lavoratore dopo una vita di fatiche per migliorarsi. E questo lo sostengono coloro che ogni secondo sproloquiano sulla necessità di premiare il merito.

Con la riforma degli ammortizzatori sociali si tagliano la cassa integrazione e l’indennità di disoccupazione e per il futuro le si dimensiona in rapporto alla anzianità di lavoro effettivo. Cioè i giovani e le donne prenderanno meno degli anziani maschi. E questo in nome di un modello sociale scandinavo sbandierato dagli estensori del Jobs act per ignoranza o per pura menzogna.

Infine si aggiunge agli altri contratti precari, che al di là delle chiacchiere restano e con i voucher si estendono, quello a “tutele crescenti” per i nuovi assunti. Costoro in realtà nella loro crescita non incontreranno mai più l’articolo 18, quindi il loro contratto a tempo indeterminato in realtà sarà finto, perché essi saranno licenziabili in qualsiasi momento. Un contratto a termine al minuto, una ipocrita beffa. L’articolo 18 resterà come patrimonio personale dei vecchi assunti, quindi non solo mano mano si ridurrà la platea di chi usufruisce di quel diritto, ma saranno la stesse imprese a essere poste in tentazione di accelerare il ricambio dei loro dipendenti. Perché tenersi il lavoratore che ha ancora la tutela dell’articolo 18, quando se ne può assumere uno senza, pagato un terzo in meno?

Renzi non fa niente di nuovo, anzi applica il principio classico degli accordi di concertazione: il “doppio regime”. I diritti contrattuali, le retribuzioni, le condizioni di orario e le qualifiche, l’accesso alla pensione, son stati negli ultimi trenta anni ridotti per tutti, ma ai nuovi assunti venivano negati completamente, a quelli con più anzianità di lavoro invece un poco restavano. I diritti non potevano più essere trasmessi da una generazione all’altra, ma diventavano una sorta di rendita personale per le generazioni che abbandonavano il lavoro.

Questi accordi, sottoscritti dai sindacati confederali e applauditi dagli innovatori ora fan di Renzi, hanno creato l’apartheid. Renzi stesso mente sapendo di mentire quando sostiene di voler abolire la disparità di diritti, invece tutti i suoi provvedimenti la rafforzano ed estendono. Il Jobs act aggiunge ferocia a ferocia, non cambierà nulla nelle dimensioni della disoccupazione anzi i disoccupati aumenteranno, come è avvenuto in Grecia e Spagna che hanno per prime seguito la via oggi percorsa dal governo. Il Jobs act non risolverà uno solo dei problemi produttivi delle imprese, soprattutto di quelle più piccole che non hanno mai avuto l’articolo 18, ma che sono in crisi più delle grandi. E allora perché si fa?

Perché come scrivevano il 5 agosto 2011 Draghi e Trichet e come aggiungeva nel 2013 la banca Morgan, la protezione costituzionale del lavoro è un lusso che l’Italia non può più permettersi. I padroni d’Europa e della finanza vogliono un lavoro low cost in una società low cost, e tutto ciò che si oppone a questo loro disegno va trattato come un nemico. CGIL CISL UIL in questi anni han lasciato passare tutto, sono state di una passività che il presidente del consiglio Monti arrivò persino a vantare all’estero. Eppure a Renzi non basta ancora, per lui i sindacati devono generosamente suicidarsi per fare spazio al nuovo.

E questa è la seconda vera ragione del Jobs act e del fanatismo con cui viene sostenuto: il valore simbolico reazionario dell’attacco all’articolo 18, che Renzi fa proprio per mettersi a capo di un regime. Un regime che non è il fascismo del secolo scorso, ma è un sistema autoritario che nega la sostanza sociale della nostra Costituzione e riduce la democrazia ad una parvenza formale, fondata sul plebiscitarismo mediatico e sull’assenza di diritti veri.

Il Jobs act è parte di una restaurazione sociale e politica peggiore di quella della signora Thatcher, perché fatta trent’anni dopo. Una restaurazione con la quale si pensa di affrontare la crisi economica per rendere permanenti le politiche di austerità, che, secondo la signora Lagarde direttrice del Fondo Monetario Internazionale, in Europa non son neppure cominciate. Una restaurazione che nel paese del gattopardo richiede un ceto politico avventuriero disposto a interpretarla come il nuovo che avanza.

Per questo il governo Renzi è il governo della menzogna e l’affermazione della verità è il primo atto di resistenza contro il regime che vuole costruire

Il sindacato è un'altra cosa

Il sindacato è un'altra cosa

Jobs Act e articolo 18, così cambieranno i contratti di lavoro



Il governo non ha intenzione di fare alcuna retromarcia sul Jobs Act. Anzi, Renzi preme affinché si taglino i tempi di approvazione, dopo la presentazione dell’emendamento che introduce il contratto a tutele crescenti.
Da ieri, infatti, è ufficialmente partita la “fase due” del governo in materia di lavoro, con l’introduzione del nuovo modello, che dovrebbe prevedere il minimo di garanzie ai nuovi assunti, con incremento delle tutele di welfare al progredire del rapporto di lavoro.
La proposta di modifica al ddl Jobs Act è stata illustrata dal presidente dell’organo parlamentare, Maurizio Sacconi, in vista dell’approdo in aula del disegno di legge che completerà il lavoro dell’esecutivo in materia di occupazione.
Come cambieranno i contratti
Con l’emendamento presentato ieri dal governo in Commissione Lavoro al Senato, fa la sua comparsa il nuovo contratto di lavoro a tutele crescenti, inteso come rapporto a tempo indeterminato che si stabilizza via via che il lavoratore e il datore di lavoro mantengono la collaborazione attiva.
Una volta che il disegno di legge sarà stato approvato, allora, il governo otterrà la delega a riscrivere lo Statuto dei lavoratori del 1970, con apposito decreto legislativo da emanare entro un semestre dall’ok in Parlamento.
Rimane il dubbio principale: che fare dell’articolo 18? Da una parte, nel Pd non son pochi coloro che premono per una sospensione solo parziale della norma, mentre sul fronte Ncd – area a cui appartiene lo stesso Sacconi – la posizione predominante è quella di cancellare del tutto la previsione di legge.
La conseguenza più probabile è quella di arrivare alla mancata applicazione dell’articolo 18 solo per i neo assunti per mezzo dei contratti a tempo indeterminato. Nel caso si verifichi un licenziamento valutato non legittimo, sarà assicurato l’indennizzo economico e nient’altro.
Diverso, invece, il discorso per le regolarizzazioni da precari o contratti flessibili, per i quali si dovrebbe ricorrere alla categoria dei mini Jobs in salsa tedesca, con l’aumento progressivo del reddito e l’impiego dei voucher, che negli anni passati hanno ottenuto un buon successo. Verrano, a tal proposito, innalzati i limiti di reddito previsti per questo genere di prestazioni.


Vai al testo dell’emendamento sull’articolo 18
Vai al testo del ddl Jobs Act

lunedì 22 settembre 2014

Lavoro, articolo 18: Renzi come Fornero. Mandiamolo a casa

Il governo Renzi è pronto a rottamare definitivamente l’articolo 18 intervenendo (per decreto!) per sancire che per tre anni i neoassunti che dovessere essere illegittimamente licenziati, non avranno diritto alla reintegra ma solo ad un indennizzo monetario.
Lo scalpo dell’articolo 18 va portato in Europa per dimostrare che l’Italia sta facendo le “riforme strutturali” che naturalmente comportano un nuovo attacco ai diritti e alle tutele residue del lavoro.
Lo schema di funzionamento dell’Europa è questo: poiché le politiche di austerità sono chiaramente fallimentari e stanno portando tutto il continente alla deflazione cioè ad un nuovo salto di qualità della crisi, la proposta è quella di… andare avanti con le politiche di austerità e anzi rilanciarle, chiamandole in uno dei molti modi in cui in questi anni si è raggirato, manipolato, turlupinato l’opinione pubblica.
Così le “riforme strutturali” in materia di lavoro non fanno altro che estremizzare le politiche che sono andate avanti negli ultimi decenni, fatte di precarizzazione del lavoro e abbassamento delle tutele. Sono le stesse politiche che hanno impoverito il lavoro e aumentato le disuguaglianze e che sono perciò all’origine della crisi, come ci dicono tutti i dati.
E’ vero o non è vero che negli ultimi 30 anni la quota di redditi da lavoro sul complesso della ricchezza nazionale è diminuita del 10% nei paesi maggiormente industrializzati e del 15% in Italia? Lo diceva qualche tempo fa persino l’OCSE.
E’ cosa succede continuando con le politiche che aumentano la precarietà del lavoro? Succede che le lavoratrici e i lavoratori sono sempre più ricattabili e disposti ad un lavoro purchè sia: un lavoro senza diritti e sempre più povero. Le politiche neoliberiste falliscono, ma la risposta continua ad essere il rilancio delle medesime politiche, sempre più radicali ed estreme.
Sul lavoro siamo al grottesco, alla moltiplicazione degli strumenti di deregolamentazione, che sono ormai persino in competizione tra di loro.
Cosa hanno fatto Monti e Fornero sull’articolo 18? Lo hanno manomesso significativamente, consentendone l’aggiramento. Un’azienda che dichiari che licenzia un lavoratore per “motivi economici” potrà essere condannata alla reintegra del lavoratore solo se il giudice sceglierà la reintegra piuttosto che l’indennizzo e solo nel caso in cui sia accertata “la manifesta insussistenza” della motivazione a base del licenziamento. Analogamente, per quel che rigurda il licenziamento illegittimo per motivi disciplinari cioè relativi al comportamento del lavoratore, la possibilità della reintegra era già stata circoscritta pesantemente.
E che cosa ha fatto Renzi sui contratti a termine? Li ha resi utilizzabili sempre, senza l’azienda che vi ricorre debba giustificare per i primi tre anni, il motivo per cui ha fatto ricorso al lavoro temporaneo. Al termine dei tre anni basterà non rinnovare il contratto e ripartire con un nuovo lavoratore ed un nuovo giro di giostra.
Ma non bastano né le manomissioni già operate dell’articolo 18, né la generalizzazione del lavoro precario. Per caso un’azienda avesse assunto a tempo indeterminato qualcuno, questo deve essere licenziabile senza che ci sia la benchè minima possibilità del diritto ad essere reintegrato.
Ovviamente serve a “creare lavoro”, come già sono serviti a creare lavoro la “riforma” Fornero e il Jobs Act numero 1 di Renzi. Peccato che di questo lavoro non si veda traccia, che i disoccupati continuino ad aumentare – più di tre milioni censiti, sei milioni effettivi con un tasso di disoccupazione reale che non ha nulla da “invidiare” alla Spagna o alla Grecia – che la crisi continui a macinare.
Vanno mandati a casa. Per quello che fanno e per le balle che raccontano, ogni giorno a reti unificate. Lavoriamo ad un autunno che provi davvero a spezzare la rassegnazione

giovedì 22 maggio 2014

Cgil Cisl Uil e Confindustria siglano l'intesa che proroga l'efficacia degli accordi del 2013 al fine di accedere alla detassazione del salario di produttività per l'anno in corso. Testo predisposto per la firma delle parti sociali a livello territoriale


Ieri, 15 maggio, è stato siglato l'accordo tra Cgil Cisl Uil e Confindustria che proroga l'efficacia degli accordi del 2013 al fine di accedere alla detassazione del salario di produttività per l'anno in corso. Il Governo con ilDPCM del 19 febbraio del 2014 ha disposto la proroga delle misure varate nel 2013 che si applicano con le medesime modalità per il periodo 1° gennaio - 31 dicembre 2014.

In considerazione di ciò, spiega la Cgil in una nota "si è quindi reso necessario confermare integralmente i contenuti dell'accordo quadro territoriale del 24 Aprile 2013" precisando di conseguenza - come si può leggere nell'accordo che accompagna il testo territoriale - “che le prestazioni lavorative effettuate nel 2014 che...hanno già comportato l'applicazione dell'agevolazione fiscale per l'anno 2013, sono ancora utili, coerenti e conformi...e dunque, possono fruire, anche per l'anno 2014, della relativa agevolazione”.

Il testo dell'accordo quadro territoriale è dunque già predisposto per la firma delle parti sociali a livello territoriale le quali dovranno unicamente apporre la data della nuova stipula e riportare al punto 2 del medesimo, la data del precedente accordo del 2013, laddove cioè si richiama la conformità del suo contenuto al riconoscimento dell'agevolazione. Il Dpcm prevede che possono beneficiare dell'agevolazione fiscale - derivante dall'applicazione dell'aliquota del 10% quale imposta sostitutiva Irpef - i titolari di reddito non superiore a 40.000 euro annui (come per il 2013) mentre l'ammontare della retribuzione di produttività oggetto di detassazione passa da 2.500 euro del 2013 a 3000 euro del 2014.

Per la Cgil, "ulteriore elemento positivo di novità" riguarda il fatto che l'Agenzia delle Entrate con circolare del 14 maggio 2014 ha stabilito che “...il reddito assoggettato all'imposta sostitutiva in esame non deve essere computato nel reddito complessivo al fine di calcolare l'importo del credito (bonus) spettante in relazione alla soglia dei 26.000 euro..”.

La Cgil, dunque, “invita tutte le strutture ad attivarsi immediatamente per la firma dell'accordo quadro a livello territoriale con le Associazioni di Confindustria, fermo restando il nostro impegno ad estendere tale accordo a livello nazionale a tutte le altre Associazioni datoriali”


lunedì 12 maggio 2014

Salvare l?azienda? Ci pensano i dipendenti

Industria Trentasei imprese sono passate nelle mani di chi ci lavora. L?investimento con il Tfr e l?indennità di mobilità

Dalle Fonderie Zen di Padova alla milanese Ri-Maflow. Il ruolo di Coopfond «Workers buy out» Il workers buy out è l?operazione di acquisto dell?azienda da parte dei dipendenti

Si chiamano, obbedendo a una classificazione internazionale, workers buy out e hanno dato vita in Italia già a 36 casi di piccole aziende salvate e rimesse in carreggiata dai dipendenti. Sono imprese per lo più localizzate in Toscana ed Emilia ma anche in Veneto e Lazio, presenti un po? in tutti i settori del manifatturiero e dei servizi e che per ripartire hanno adottato nella stragrande maggioranza dei casi lo strumento della cooperativa. Alcuni casi hanno avuto ripetutamente l?onore delle cronache come le Fonderie Zen di Padova e la milanese Ri-Maflow ma a censirli tutti per la prima volta è stato ilbureau.com, un sito di giornalisti, grafici e ricercatori coordinati da Valentina Parasecolo. Quando l?azienda ? Srl o Spa che sia ? fallisce, i dipendenti si riuniscono in cooperativa e la rilevano dalla liquidazione, utilizzando il Tfr e l?indennità di mobilità. In moltissimi casi ad aiutarli arriva Coopfond, il fondo mutualistico della Legacoop che versa a titolo di prestito un ammontare pari a quello versato dai lavoratori (al massimo stiamo parlando di un impegno pari a 800 mila euro). Successivamente si può attivare attorno alla nuova impresa una cintura di banche come Bper, Banca Etica o Banca Unipol che vegliano almeno sulla prima navigazione. I dipendenti fatta la scelta più difficile devono dare prova di maturità selezionando al loro interno le figure dirigenziali che avranno il compito di condurre l?azienda. Quasi sempre cambiano anche il nome: la Ottima di Scandiano (ceramiche) è diventata Greslab e la Maflow di Trezzano sul Naviglio è stata per l?appunto ribattezzata Ri-Maflow. Nel caso della Fenix Pharma in appoggio ai dipendenti è tornato un ex manager che aveva lavorato ai tempi in cui l?impresa era parte di una multinazionale americana.Se l?obiettivo iniziale è quello di salvare con l?azienda ovviamente anche i posti di lavoro molte volte l?operazione è facilitata perché non tutti i dipendenti credono alla nuova impresa e alcuni si distaccano volontariamente. A differenza di esperienze più ideologiche che pure erano state fatte negli anni 70 e 80 nei nuovi workers buy out vigono i criteri guida della competenza e del pragmatismo. Non si fa a botte con il mercato bensì si cercano idee e soluzioni nuove anche per dimostrare che le vecchie proprietà erano inette. Una scelta valoriale c?è sempre ma le bandiere rosse no. Nel caso della Greslab la nuova gestione ha puntato molto sulla formazione e ha cambiato il prodotto da vendere investendo sul grès porcellanato. I dipendenti della Fenix Pharma hanno rilevato l?azienda dalla Warner Chilcott che voleva uscire dal mercato europeo ma hanno scommesso su prodotti nuovi nel segmento dell?osteoporosi comprando addirittura una licenza. In altri casi è bastato riprendere il vecchio business come per la Infissi design di Reggio Emilia che era andata in crisi per errori di gestione o per la Clab di Arezzo che fino ai primi anni del 2000 era tra le prima aziende in Europa nella produzione di box doccia.Classificate le nuove realtà la domanda successiva diventa quanto siano attrezzate queste aziende per reggere l?urto di una crisi che non fa sconti e non guarda ai valori. La risposta che per ora si può dire riguarda la data di nascita di diverse aziende dei dipendenti: la rodigina Cup è nata nel 2008 così come la pistoiese Micronix, la reggiana Art Linig. Solo un anno di meno hanno la fiorentina Ipt e la pisana Italcom. Insomma nessuno può garantire il futuro ma, assicurano alla Coopfond, la selezione viene fatta all?inizio. Se non ci sono le condizioni non si parte nemmeno.© RIPRODUZIONE RISERVATALe imprese che Italstick Modena Greslab Scandiano Ceramica magica Sassuolo Siamesi Savignano sul Panaro Infissi Design Carpineti Arca Land Castelnovo nei Monti Ri-Maflow Trezzano sul Naviglio (Mi) D&C Vigodarzere (Pd) Metal Welding Wire Pavova Fonderie Zen Pavova Cnp - N.P. Cantiere Navale Polesano Porto Rivo (Pd) Alfa Engineering Bastiglia (Mo) Art Linig Cavriago Textyle Bibbiano Performa Bologna IPT Scarperia Micronix Società Coop Pistoia Cooptima Pisa M.C.M. Firenze Industria Plastica Toscana Firenze C.S.V. Soc. Cooperativa Firenze CSV Montelupo Fiorentino Vetrerie Empolesi (in liquid.) Empoli Nuova Bulleri Pisa Aico Plast Società Coop. Firenze Master Ceramica Firenze Territorio e servizi Soc. Coop. Firenze N.C.S. Coriano 2012 Autotrasporti Panicale Fenix Pharma Roma Ex Evotape Castelforte Calcestruzzi Ericina Libera Trapani L&Q - Linea Quattro Soc. Coop. Ancona Cooprint Ancona L&Q Castelpiano Clab Foiano della Chiana

lunedì 7 aprile 2014

venerdì 4 aprile 2014

Sciopero di 3 giorni alla Morgan Carbon

Martinsicuro, sit-in davanti all’azienda: contestati il direttore, le lettere di richiamo e i ritardi nelle trattative su un premio



MARTINSICURO. Tre giorni di sciopero alla Morgan Carbon di Martinsicuro, che potrebbero diventare ad oltranza se l’azienda non aprirà un dialogo con i lavoratori. Il sit in davanti all’azienda è iniziato ieri mattina e proseguirà fino a venerdì ma se non ci saranno aperture da parte dell’azienda lo sciopero potrebbe proseguire ad oltranza. Per cercare una mediazione, nel plesso industriale di Martinsicuro, è arrivato dal Lussemburgo John Herke, dirigente della multinazionale. «Sono tre i punti che vogliamo discutere con l’azienda», è il commento di Mirko Ricci, Rsu della fabbrica. Il sindacalista nutre dei dubbi su le scelte fatte dal direttore, «sia a livello produttivo e sulla gestione del personale. E poi «le lettere di richiamo fatte ultimamente dai vertici che sono solo pretestuose e che chiediamo che vengano ritirate. La terza questione che vogliamo affrontare è quella sul premio di produzione che doveva essere concordato entro marzo ma a tuttora non c’è stato nessun tavolo per concordarlo».
Ieri mattina davanti all’azienda, in via Roma nella zona industriale della cittadina, si sono ritrovati gli operai. Martedì scorso i rappresentanti sindacali avevano stabilito con i rappresentanti dell’azienda un programma di incontri. Prima gli operai che avevano ricevuto le lettere di richiamo dovevano spiegare le loro ragioni davanti a Herke poi, nel pomeriggio un tavolo per discutere i premi. «Dopo che alcuni operai, accompagnati di rappresentanti dei sindacati, avevano spiegato le loro ragioni sulle lettere di richiamo ricevute», spiega Ricci, «l’azienda ci ha chiesto di tornare al lavoro e in caso contrario il tavolo di trattativa sui premi di produzione non sarebbe stato aperto. Una risposta che non ci aspettavamo e non avendo il mandato da parte dei lavoratori abbiamo deciso di abbandonare la trattativa». Un passo indietro che ha visto i lavoratori optare per la continuazione dello stato di agitazione, che significa lo sciopero fino a venerdì e se non ci saranno risvolti positivi sulla trattativa il prosieguo ad oltranza dello stato di agitazione delle maestranze. Sul punto riguardante l’adeguamento dei premi produzione i sindacati rivendicano l’apertura di un tavolo, ricordando all’azienda che questo doveva essere discusso entro marzo ma giunti ad aprile il tavolo ancora non viene avviato. Sull’altro quesito proposto dai lavoratori, quello riguardante il nuovo direttore, l’azienda non ha risposto, non prendendo in considerazione la richiesta di sindacati e lavoratori.
La Morgan Carbon è una multinazionale che produce diversi articoli in tutto il mondo. Nel plesso di Martinsicuro, entrato in funzione nel 1961 con il nome Ebn, la società produce spazzole per motori elettrici e anelli di tenuta. Produce per molte ditte importanti e dà lavoro a oltre 100 persone. Nel plesso di Martinsicuro la multinazionale ha investito parecchio sulla tutela ambientale sia nell’emissioni di polveri sia sotto l’aspetto acustico.

Sciopero alla .....Morgan Carbon Italia di Martinsicuro.....

Morgan - Pietro Silvestri
Sciopero Morgan Pietro Silvestri
Sciopero Morgan Pietro Silvestri
Morgan - Pietro Silvestri

mercoledì 26 marzo 2014

Precari per decreto e per sempre....

Pubblicato il 14 mar 2014
di Piergiovanni Alleva – il manifesto
C’è da essere indi­gnati, cer­ta­mente e anzi­tutto, per il con­te­nuto dell’annunziato Decreto che pre­ca­rizza defi­ni­ti­va­mente il mer­cato del lavoro​ .La riforma del con­tratto di lavoro a ter­mine e di appren­di­stato che Mat­teo Renzi ha annun­ciato, come unica misura con­creta e imme­diata in mezzo allo scop­piet­tio dei suoi annunci di riforma, pre­clude per il futuro l’accesso ad un lavoro sta­bile a tutti i lavo­ra­tori gio­vani e adulti. Ma indi­gna­zione anche per il modo asso­lu­ta­mente pas­sivo con cui le forze poli­ti­che “di sini­stra” e le orga­niz­za­zioni sin­da­cali hanno accolto la noti­zia, anche per­ché pro­ba­bil­mente clo­ro­for­miz­zate dall’annunzio di una non disprez­za­bile “man­cia” elar­gita ai lavo­ra­tori sotto forma di sgra­vio Irpef.
Salvo gli oppor­tuni appro­fon­di­menti, la sostanza è comun­que chia­ris­sima e ine­qui­vo­ca­bile. Si vuole intro­durre la pos­si­bi­lità di sti­pula di un con­tratto di lavoro a ter­mine senza indi­ca­zione di alcuna cau­sale con durata lun­ghis­sima, fino a tre anni.
Si dirà, ipo­cri­ta­mente, che que­sto vale solo per il “primo con­tratto” a ter­mine tra lo stesso datore di lavoro e il lavo­ra­tore, ma l’ipocrisia è evi­dente, per­ché a ben guar­dare, il primo con­tratto a ter­mine acau­sale sarà anche l’ultimo, in quanto dopo i 36 mesi di lavoro scat­te­rebbe la regola legale, già esi­stente, secondo la quale con­ti­nuando la pre­sta­zione di lavoro il con­tratto si tra­sforma a tempo indeterminato.
Quale è, allora, la for­mula sem­pli­cis­sima che il Decreto offre e sug­ge­ri­sce al datore? Tenere il lavo­ra­tore con con­tratto acau­sale e alla sca­denza sosti­tuirlo. Dal punto di vista del lavo­ra­tore signi­fica cer­care ogni tre anni un diverso datore di lavoro, e ciò all’infinito, con­ce­dendo a Dio la dignità, e ras­se­gnan­dosi ad una totale sot­to­mis­sione a ricatti di ogni tipo, spe­rando di essere con­fer­mato a tempo inde­ter­mi­nato una volta o l’altra.
È evi­dente che così, lo stesso datore di lavoro nel suo com­plesso diven­terà una sorta di favola non tra­du­ci­bile in realtà. Rispondo subito ad una pre­ve­di­bile obie­zione: si dirà che però, secondo la bozza del Decreto, i lavo­ra­tori a con­tratto a ter­mineacau­sale non potranno supe­rare il 20% dell’occupazione azien­dale: si tratta comun­que di una per­cen­tuale assai alta (attual­mente i con­tratti pre­ve­dono il 10–15%), ed è evi­dente che quella “fascia” del 20% fun­zio­nerà come una sorta di anello esterno all’azienda, nella quale fini­ranno impri­gio­nati i nuovi assunti e dal quale usci­ranno solo per entrare in ana­logo anello di altra azienda.
Per i gio­vani e per i disoc­cu­pati, dun­que, vi è un solo futuro: restare per sem­pre pre­cari trien­nali, ora presso una azienda, ora presso un’altra, ma la stessa sorte attende i lavo­ra­tori già sta­bili i quali magari si sen­ti­ranno grati a Renzi per quella man­cia eco­no­mica nel caso doves­sero per qual­siasi ragione per­dere quel posto di lavoro.
Va poi aggiunto che il rispetto effet­tivo della per­cen­tuale mas­sima di occu­pati a ter­mine su un orga­nico è di dif­fi­cile moni­to­rag­gio: come si farà a sapere se l’azienda alfa di 100 dipen­denti o con 100 dipen­denti ha già col­mato la suo quota di 20 lavo­ra­tori a ter­mine? I dati già ci sareb­bero presso i Cen­tri per l’impiego, ma sono riser­vati. Occor­re­rebbe isti­tuire, presso i Cen­tri per l’impiego, una ana­grafe pub­blica dei rap­porti di lavoro per otte­nere l’indispensabile tra­spa­renza: sarebbe una dimo­stra­zione minima di one­stà da parte del governo e dell’azienda, ma dob­biamo con­fes­sare tutto il nostro scetticismo.
Resta da con­si­de­rare la con­for­mità di que­sto decreto alla nor­ma­tiva euro­pea in tema di con­tratto a ter­mine. Il peri­colo di abuso che la nor­ma­tiva Ue con­nette alla ripe­ti­zione di brevi con­tratti a ter­mine, è tutto con­den­sato nella pre­vi­sione di un lungo con­tratto a ter­mine acau­sale , dopo il quale, se il datore con­sen­tisse di con­ti­nuare la pre­sta­zione vi sarebbe la tra­sfor­ma­zione a tempo inde­ter­mi­nato, ma poi­ché non la con­sen­tirà, vi sarà una con­di­zione di disoc­cu­pa­zione e sot­toc­cu­pa­zione, per­ché il pros­simo datore di lavoro si com­por­terà nello stesso modo.
Il prin­ci­pio euro­peo che la bozza del Decreto con vistosa ipo­cri­sia ripete, per il quale la forma nor­male del con­tratto di lavoro è quella a tempo inde­ter­mi­nato, viene così non solo aggi­rato e vio­lato, ma ridotto ad una bur­letta e que­sto potrà essere fatto valere di fronte alla Corte di Giu­sti­zia Euro­pea. Per for­tuna, nel nostro paese fra il tanto dif­fuso con­for­mi­smo anche tra le forze poli­ti­che e sin­da­cali, esi­ste la coscienza cri­tica dei sin­goli ope­ra­tori indipendenti.
Resta da esa­mi­nare lo scem­pio del con­tratto di appren­di­stato che viene bana­liz­zato, eli­mi­nando qual­siasi severo con­trollo sulla effet­ti­vità della for­ma­zione pro­fes­sio­nale ed eli­mi­nando altresì quella ele­men­tare regola anti­frode per la quale non pote­vano essere con­clusi nuovi con­tratti di appren­di­stato dal datore di lavoro che non avesse con­fer­mato a tempo inde­ter­mi­nato i pre­ce­denti appren­di­sti. È evi­dente che una regola di que­sto genere andrebbe intro­dotta anche per la pos­si­bile sti­pula di con­tratti a ter­mine ed, invece, la volontà di eli­mi­narla ove già esi­ste, e cioè nell’apprendistato, dimo­stra quali sono le vere inten­zioni del governo di Mat­teo Renzi.

IL SINDACATO E' UN'ALTRA COSA......

venerdì 21 febbraio 2014

Ai congressi di base della Filctem Cgil, il secondo documento "il sindacato è un'altra cosa" raggiunge il 36%, vincendo alla Morgan Carbon, Eurocarbo, Hidraulic, Carbotech, Hatria, Servizi Ospedalieri ed in altre aziende.

mercoledì 19 febbraio 2014

Morgan, più soldi per i 130 dipendenti


Martinsicuro, nel nuovo integrativo tutele per i precari: bandite le agenzie interinali “fuorilegge”



MARTINSICURO. Contratto integrativo alla Morgan Carbon di Martinsicuro. In tempi in cui le contrattazioni di secondo livello sono più uniche che rare, nell’azienda che produce anelli di tenuta delle pompe dell’acqua, il contratto non solo è stato rinnovato, ma contiene elementi qualificanti, e non solo dal punto di vista economico. Accanto ai miglioramenti economici per i 130 dipendenti c’è l’impegno alla stabilizzazione di parte dei lavoratori in somministrazione, che attualmente sono 11. La parte economica prevede un aumento di 8 euro mensili su un’indennità che prima era di 80 e che nel 2015 diverrà di 96 e nel 2016 di 104 euro.
«Dove c'è attenzione per gli investimenti tecnologici», commenta Mirko Ricci della Rsu della Morgan, «si può essere competitivi e quindi possibilità di definire dei miglioramenti economici per i lavoratori addetti alla produzione, che contribuiscono in maniera decisiva all'andamento dell'azienda». Un punto particolarmente qualificante riguarda gli interinali. «Molte agenzie interinali», spiega il sindacalista della Filctem Cgil, «non rispettano contratto nazionale di lavoro e contrattazione di secondo livello: nell’accordo si stabilisce che l’azienda utilizzerà sono quelle in regola. E’ un atto di civiltà nei confronti dei precari. E nel triennio si prevede la stabilizzazione di almeno 6 precari».
La Morgan è un’azienda storica che ha un mercato internazionale e produce anelli, ad esempio per caldaie o lavastoviglie, anche per grosse imprese. Ha una lunga tradizione nella contrattazione aziendale, dal lontano 1972. Attualmente sono diversi gli istituti, che vanno dai premi di presenza e produzione al un premio sugli infortuni, alla quattordicesima, solo per fare degli esempi. «E’ un buon risultato, ottenuto anche grazie al fatto che il sindacato è molto presente in azienda», conclude Ricci. (a.f.)

venerdì 24 gennaio 2014

E ce lo dicono pure…!!!!


23/01/2014
Apprendiamo dal Sole 24 ore di oggi, in un articolo anonimo il cui titolo nulla o poco c’entra con il contenuto e relegato a pagina 23, che abbiamo perso la stratosferica cifra di 545 miliardi di euro di crediti fiscali vantati dallo Stato e non riscossi! Se vogliamo trasformarli in vecchie lire siamo alla stratosferica cifra di milleequarantamilamiliardi di lire, ovvero più di undici volte il valore della finanziaria più pesante che ci sia stata imposta negli ultimi venti anni e cioè quella di Amato del ’92 del valore di 90.000 miliardi di lire!!!
Se ciò non fosse sufficientemente scandaloso, il direttore della Agenzia delle Entrate (quali?) ci confessa che non sarà possibile recuperarne più del 5 – 6% del totale, cioè non più di 32,7 miliardi di euro.
Per evitare confusioni va specificato che questi 545 miliardi non sono ascrivibili all’evasione fiscale, che invece ha raggiunto la ragguardevole cifra di 180 miliardi di euro – cifra presunta probabilmente per difetto – ma sono soldi che si riferiscono ad accertamenti già avvenuti e quindi a crediti conosciuti. Si sa cioè chi ce li dovrebbe dare e perché.
Mentre quindi la guardia di finanza viene impiegata in attività di ordine pubblico invece che di ricerca degli evasori, mentre le buste paga dei lavoratori dipendenti sono massacrate dalle tasse nazionali, regionali, provinciali, comunali, condominiali e di pianerottolo, mentre si scopre che la figlia del grande palazzinaro romano Armellini – ad insaputa del suo compagno, l’ineffabile parlamentare di lungo corso Bruno Tabacci –ha evaso il fisco per oltre 2 miliardi di euro, mentre viene aumentata l’IVA e diminuita l’IRAP c’è un tesoro che da solo abbatterebbe il debito pubblico del 25% che sappiamo esistere ma che non possiamo riscuotere.
Ci viene voglia di chiedere al signor Cottarelli, uomo del Fondo Monetario Internazionale messo da Letta a tagliare la spesa per reperire risorse, perché non prova a cercarle a partire da qui invece di raccattare briciole negli stipendi dei pubblici dipendenti, nella privatizzazione delle partecipate, nella messa in mobilità di centinaia di migliaia di padri e madri di famiglia che già ora non arrivano al 15 del mese e non riescono a pagare l’affitto o il mutuo?