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venerdì 26 settembre 2014

Jobs act, un manifesto della malafede



Il governo Renzi concede alle imprese libertà di spionaggio sui dipendenti, con telecamere e quant’altro. E questa violazione elementare dei diritti della persona viene da quegli stessi politici che si indignano di fronte a intercettazioni telefoniche della magistratura che tocchino loro o le loro amicizie.
Con il demansionamento si afferma la licenza di degradare il lavoratore dopo una vita di fatiche per migliorarsi. E questo lo sostengono coloro che ogni secondo sproloquiano sulla necessità di premiare il merito.

Con la riforma degli ammortizzatori sociali si tagliano la cassa integrazione e l’indennità di disoccupazione e per il futuro le si dimensiona in rapporto alla anzianità di lavoro effettivo. Cioè i giovani e le donne prenderanno meno degli anziani maschi. E questo in nome di un modello sociale scandinavo sbandierato dagli estensori del Jobs act per ignoranza o per pura menzogna.

Infine si aggiunge agli altri contratti precari, che al di là delle chiacchiere restano e con i voucher si estendono, quello a “tutele crescenti” per i nuovi assunti. Costoro in realtà nella loro crescita non incontreranno mai più l’articolo 18, quindi il loro contratto a tempo indeterminato in realtà sarà finto, perché essi saranno licenziabili in qualsiasi momento. Un contratto a termine al minuto, una ipocrita beffa. L’articolo 18 resterà come patrimonio personale dei vecchi assunti, quindi non solo mano mano si ridurrà la platea di chi usufruisce di quel diritto, ma saranno la stesse imprese a essere poste in tentazione di accelerare il ricambio dei loro dipendenti. Perché tenersi il lavoratore che ha ancora la tutela dell’articolo 18, quando se ne può assumere uno senza, pagato un terzo in meno?

Renzi non fa niente di nuovo, anzi applica il principio classico degli accordi di concertazione: il “doppio regime”. I diritti contrattuali, le retribuzioni, le condizioni di orario e le qualifiche, l’accesso alla pensione, son stati negli ultimi trenta anni ridotti per tutti, ma ai nuovi assunti venivano negati completamente, a quelli con più anzianità di lavoro invece un poco restavano. I diritti non potevano più essere trasmessi da una generazione all’altra, ma diventavano una sorta di rendita personale per le generazioni che abbandonavano il lavoro.

Questi accordi, sottoscritti dai sindacati confederali e applauditi dagli innovatori ora fan di Renzi, hanno creato l’apartheid. Renzi stesso mente sapendo di mentire quando sostiene di voler abolire la disparità di diritti, invece tutti i suoi provvedimenti la rafforzano ed estendono. Il Jobs act aggiunge ferocia a ferocia, non cambierà nulla nelle dimensioni della disoccupazione anzi i disoccupati aumenteranno, come è avvenuto in Grecia e Spagna che hanno per prime seguito la via oggi percorsa dal governo. Il Jobs act non risolverà uno solo dei problemi produttivi delle imprese, soprattutto di quelle più piccole che non hanno mai avuto l’articolo 18, ma che sono in crisi più delle grandi. E allora perché si fa?

Perché come scrivevano il 5 agosto 2011 Draghi e Trichet e come aggiungeva nel 2013 la banca Morgan, la protezione costituzionale del lavoro è un lusso che l’Italia non può più permettersi. I padroni d’Europa e della finanza vogliono un lavoro low cost in una società low cost, e tutto ciò che si oppone a questo loro disegno va trattato come un nemico. CGIL CISL UIL in questi anni han lasciato passare tutto, sono state di una passività che il presidente del consiglio Monti arrivò persino a vantare all’estero. Eppure a Renzi non basta ancora, per lui i sindacati devono generosamente suicidarsi per fare spazio al nuovo.

E questa è la seconda vera ragione del Jobs act e del fanatismo con cui viene sostenuto: il valore simbolico reazionario dell’attacco all’articolo 18, che Renzi fa proprio per mettersi a capo di un regime. Un regime che non è il fascismo del secolo scorso, ma è un sistema autoritario che nega la sostanza sociale della nostra Costituzione e riduce la democrazia ad una parvenza formale, fondata sul plebiscitarismo mediatico e sull’assenza di diritti veri.

Il Jobs act è parte di una restaurazione sociale e politica peggiore di quella della signora Thatcher, perché fatta trent’anni dopo. Una restaurazione con la quale si pensa di affrontare la crisi economica per rendere permanenti le politiche di austerità, che, secondo la signora Lagarde direttrice del Fondo Monetario Internazionale, in Europa non son neppure cominciate. Una restaurazione che nel paese del gattopardo richiede un ceto politico avventuriero disposto a interpretarla come il nuovo che avanza.

Per questo il governo Renzi è il governo della menzogna e l’affermazione della verità è il primo atto di resistenza contro il regime che vuole costruire

Il sindacato è un'altra cosa

Il sindacato è un'altra cosa

Jobs Act e articolo 18, così cambieranno i contratti di lavoro



Il governo non ha intenzione di fare alcuna retromarcia sul Jobs Act. Anzi, Renzi preme affinché si taglino i tempi di approvazione, dopo la presentazione dell’emendamento che introduce il contratto a tutele crescenti.
Da ieri, infatti, è ufficialmente partita la “fase due” del governo in materia di lavoro, con l’introduzione del nuovo modello, che dovrebbe prevedere il minimo di garanzie ai nuovi assunti, con incremento delle tutele di welfare al progredire del rapporto di lavoro.
La proposta di modifica al ddl Jobs Act è stata illustrata dal presidente dell’organo parlamentare, Maurizio Sacconi, in vista dell’approdo in aula del disegno di legge che completerà il lavoro dell’esecutivo in materia di occupazione.
Come cambieranno i contratti
Con l’emendamento presentato ieri dal governo in Commissione Lavoro al Senato, fa la sua comparsa il nuovo contratto di lavoro a tutele crescenti, inteso come rapporto a tempo indeterminato che si stabilizza via via che il lavoratore e il datore di lavoro mantengono la collaborazione attiva.
Una volta che il disegno di legge sarà stato approvato, allora, il governo otterrà la delega a riscrivere lo Statuto dei lavoratori del 1970, con apposito decreto legislativo da emanare entro un semestre dall’ok in Parlamento.
Rimane il dubbio principale: che fare dell’articolo 18? Da una parte, nel Pd non son pochi coloro che premono per una sospensione solo parziale della norma, mentre sul fronte Ncd – area a cui appartiene lo stesso Sacconi – la posizione predominante è quella di cancellare del tutto la previsione di legge.
La conseguenza più probabile è quella di arrivare alla mancata applicazione dell’articolo 18 solo per i neo assunti per mezzo dei contratti a tempo indeterminato. Nel caso si verifichi un licenziamento valutato non legittimo, sarà assicurato l’indennizzo economico e nient’altro.
Diverso, invece, il discorso per le regolarizzazioni da precari o contratti flessibili, per i quali si dovrebbe ricorrere alla categoria dei mini Jobs in salsa tedesca, con l’aumento progressivo del reddito e l’impiego dei voucher, che negli anni passati hanno ottenuto un buon successo. Verrano, a tal proposito, innalzati i limiti di reddito previsti per questo genere di prestazioni.


Vai al testo dell’emendamento sull’articolo 18
Vai al testo del ddl Jobs Act

lunedì 22 settembre 2014

Lavoro, articolo 18: Renzi come Fornero. Mandiamolo a casa

Il governo Renzi è pronto a rottamare definitivamente l’articolo 18 intervenendo (per decreto!) per sancire che per tre anni i neoassunti che dovessere essere illegittimamente licenziati, non avranno diritto alla reintegra ma solo ad un indennizzo monetario.
Lo scalpo dell’articolo 18 va portato in Europa per dimostrare che l’Italia sta facendo le “riforme strutturali” che naturalmente comportano un nuovo attacco ai diritti e alle tutele residue del lavoro.
Lo schema di funzionamento dell’Europa è questo: poiché le politiche di austerità sono chiaramente fallimentari e stanno portando tutto il continente alla deflazione cioè ad un nuovo salto di qualità della crisi, la proposta è quella di… andare avanti con le politiche di austerità e anzi rilanciarle, chiamandole in uno dei molti modi in cui in questi anni si è raggirato, manipolato, turlupinato l’opinione pubblica.
Così le “riforme strutturali” in materia di lavoro non fanno altro che estremizzare le politiche che sono andate avanti negli ultimi decenni, fatte di precarizzazione del lavoro e abbassamento delle tutele. Sono le stesse politiche che hanno impoverito il lavoro e aumentato le disuguaglianze e che sono perciò all’origine della crisi, come ci dicono tutti i dati.
E’ vero o non è vero che negli ultimi 30 anni la quota di redditi da lavoro sul complesso della ricchezza nazionale è diminuita del 10% nei paesi maggiormente industrializzati e del 15% in Italia? Lo diceva qualche tempo fa persino l’OCSE.
E’ cosa succede continuando con le politiche che aumentano la precarietà del lavoro? Succede che le lavoratrici e i lavoratori sono sempre più ricattabili e disposti ad un lavoro purchè sia: un lavoro senza diritti e sempre più povero. Le politiche neoliberiste falliscono, ma la risposta continua ad essere il rilancio delle medesime politiche, sempre più radicali ed estreme.
Sul lavoro siamo al grottesco, alla moltiplicazione degli strumenti di deregolamentazione, che sono ormai persino in competizione tra di loro.
Cosa hanno fatto Monti e Fornero sull’articolo 18? Lo hanno manomesso significativamente, consentendone l’aggiramento. Un’azienda che dichiari che licenzia un lavoratore per “motivi economici” potrà essere condannata alla reintegra del lavoratore solo se il giudice sceglierà la reintegra piuttosto che l’indennizzo e solo nel caso in cui sia accertata “la manifesta insussistenza” della motivazione a base del licenziamento. Analogamente, per quel che rigurda il licenziamento illegittimo per motivi disciplinari cioè relativi al comportamento del lavoratore, la possibilità della reintegra era già stata circoscritta pesantemente.
E che cosa ha fatto Renzi sui contratti a termine? Li ha resi utilizzabili sempre, senza l’azienda che vi ricorre debba giustificare per i primi tre anni, il motivo per cui ha fatto ricorso al lavoro temporaneo. Al termine dei tre anni basterà non rinnovare il contratto e ripartire con un nuovo lavoratore ed un nuovo giro di giostra.
Ma non bastano né le manomissioni già operate dell’articolo 18, né la generalizzazione del lavoro precario. Per caso un’azienda avesse assunto a tempo indeterminato qualcuno, questo deve essere licenziabile senza che ci sia la benchè minima possibilità del diritto ad essere reintegrato.
Ovviamente serve a “creare lavoro”, come già sono serviti a creare lavoro la “riforma” Fornero e il Jobs Act numero 1 di Renzi. Peccato che di questo lavoro non si veda traccia, che i disoccupati continuino ad aumentare – più di tre milioni censiti, sei milioni effettivi con un tasso di disoccupazione reale che non ha nulla da “invidiare” alla Spagna o alla Grecia – che la crisi continui a macinare.
Vanno mandati a casa. Per quello che fanno e per le balle che raccontano, ogni giorno a reti unificate. Lavoriamo ad un autunno che provi davvero a spezzare la rassegnazione