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venerdì 20 aprile 2012
Lettera lavoratore a Susanna Camusso
Cara Susanna, sono passati poco più di 10 anni da quando la CGIL il 23 marzo del 2002 scese in piazza con iscritti, (...)
studenti e semplici cittadini per dire no alle modifcihe all’art. 18 della legge 300 del 20 maggio 1970. La CGIL era convinta, così come lo sono coloro che scrivono la presente, che non è attraverso la modifica dell’articolo 18 che si combattono precarietà e disoccupazione. Siamo convinti che oggi più che mai l’attacco allo statuto dei lavoratori sia frutto di un tentativo di rivalsa padronale che non può avere l’avallo di un sindacato come la CGIL, che chi ha redatto la presente si degna di rappresentare nei luoghi di lavoro come la forza sindacale che più di tutti si è battuta per la difesa dei lavoratori e della dignità degli stessi. Pensiamo di rappresentare tutta la base lavorativa della CGIL, e non solo, quando diciamo che il SI della CGIL alle modifiche dell’articolo 18 delude e fa riflettere sui meccanismi che troppo spesso vedono indietreggiare il sindacato dinnanzi ai turbamenti politici che da qualche tempo annebbiano il concetto di giustizia sociale.
Lo ha detto la CGIL utilizzando le tue parole “l’art. 18 è una norma di civiltà”. Da parte nostra rimaniamo fermi a quelle parole e non possiamo non riflettere sul senso di giustizia insito nel testo dell’articolo 18, approvato nel 1970, dopo che molti dei nostri padri hanno dato la vita per conquistare nei luoghi di lavoro quella dignità che solo l’esistenza dell’art. 18, così come definita dalla legge 300, ha portato e continua a mantenere oggi. Cara Susanna, l’avallo alle modifiche proposte dal Governo è un errore sul quale bisogna avere il coraggio di fare un passo indietro per rispettare la base dei lavoratori. Cara Susanna, la scelta di ripiegare sull’art. 18 è una scelta non rappresentativa degli iscritti alla CGIL e di tutti i lavoratori. Fai un passo indietro e ridacci la forza di rappresentare a dovere la CGIL in tutti quegli ambiti dove solo chi sa cosa è giusto per i lavoratori può dire la propria.
La perdita di consistenza dell’art. 18 non solo avallerà l’ingiustizia, ma in molti casi renderà difficile anche l’esigibilità di molti diritti sanciti da leggi e accordi. La paura di essere licenziati avrà la meglio sul buon senso e sulla lotta; l’arretramento sui diritti non farà che peggiorare la condizione dei lavoratori dentro e fuori i luoghi di lavoro. La paura ridimensionerà la capacità di lotta e di conseguenza allontanerà ulteriormente la possibilità di adeguamento del potere d’acquisto, il che comporterà l’ulteriore impoverimento delle classi medie e l’ulteriore contrazione del mercato interno. La pressione su coloro che già lavorano per ottenere un incremento produttivo finirà per ostacolare l’assunzione di nuovi lavoratori, contrastando quegli effetti positivi che qualcuno, probabilmente non in buona fede, tenta di enfatizzare.
Ritenendo che il pensiero espresso in questa missiva rappresenti l’ampia maggioranza degli iscritti alla CGIL e dei lavoratori italiani, ti chiediamo di ripercorrere a ritroso quanto accaduto nelle ultime settimane e di riprendere una posizione che sia più rappresentativa di una base che oggi più di prima si sente abbandonata.
Dal canto nostro continueremo a lottare e prenderemo le distanze da chiunque, in parlamento e fuori, appoggerà la modifica di una norma di civiltà come l’articolo 18 della legge 300 del 1970.
Vorremmo fino in fondo pensare che la CGIL sarà capace di sottrarsi a logiche che non sono sue e che non si macchi di una simile onta contro le lavoratrici e i lavoratori Italiani.
Cordiali saluti
Michele Pistone A nome e per conto di attivi e delegati di diverse aziende siciliane
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