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domenica 17 novembre 2013

In piazza la delusione dei senza lavoro

Sindacati e operai dal prefetto: chiedono aiuto per l’economia ko. Ottocento posti a rischio nella sola Martinsicuro

TERAMO. Rassegnazione. Lo sventolio delle bandiere di Cgil, Cisl e Uil che ieri mattina contrappuntavano largo San Matteo non è riuscito a coprire l’effetto devastante che la lunga, inarrestabile crisi ha avuto sulla gente. I lavoratori riuniti per lo sciopero generale contro la legge di stabilità, ma anche per proporre misure reali di sostegno al sistema produttivo locale, erano più che altro rassegnati. La sfiducia nelle istituzioni ha pervaso tutte le loro riflessioni, accompagnata però a guizzi di indignazione e preoccupazione per il futuro.
I segretari di Cgil, Cisl e Uil, Dario Di Dario, Antonio Scuteri e Gianluca Di Girolamo, con una rappresentanza di lavoratori, hanno avuto un incontro con il prefetto Valter Crudo a cui hanno segnalato le perplessità sulla legge di stabilità, ma anche per rappresentargli la necessità che le istituzioni locali, in particolare la Regione, intervengano a sostegno dell’economia provinciale, per agganciare la ripresa. I sindacati l’hanno anche invitato alla riunione che organizzeranno a dicembre con i parlamentari teramani e la Regione per chiedere impegni reali a favore del Teramano.
I lavoratori. «La situazione locale è molto difficile», dichiara Andrea Guizzetti, lavoratore della Filca Cisl, «ci vogliono risposte efficaci da parte delle istituzioni e delle imprese per creare sistemi più moderni per creare lavoro ed essere più competitivi. Il problema è che le risposte non arrivano». «Nessuno fa niente», aggiunge Emidio Ottavianelli della Fillea Cgil, «il lavoro nei manufatti in cemento, la mia azienda è passata da 120 a 80 e ora a 33 operai, e adesso vuole chiudere. Le istituzioni dovrebbero pensare a una riconversione delle imprese in setto che tirano, ma manca un progetto».
Il caso Martinsicuro. Fra imprese chiuse e altre a rischio, i posti in bilico a Martinsiocuro sono più di 800. Due grosse aziende, la Full mobili e la Cmp sono in concordato preventivo, la Bontempi ha messo tutti i Cigs mentre Veco, Morgan Carbon e Carbotech sono oggetto di proteste di comitati perchè inquinerebbero. «Abbiamo chiesto al prefetto», dice Enrico Errico della Veco, «di convocare sindaco, azienda e comitati in un tavolo istituzionale per trovare una soluzione. Altrimenti il sindaco si dovrà assumere la responsabilità di far chiudere un’azienda che dà 200 posti di lavoro». «Anche i problemi per le altre due aziende, sono tutte e tre nate agli inizi degli Anni Sessanta, sono frutto di un disordine urbanistico che nessuno ha voluto mai affrontare, e noi ne facciamo le spese», aggiunge Mirko Ricci della Morgan.
La sicurezza. Altra questione sottoposta a Crudo è quella della sicurezza. «I pensionati prendono già pochi soldi», spiega Giovanni Pigliacelli della Fnp Cisl, «e sono continuamente oggetto di furti o scippi. Bisogna aumentare la presenza di forze dell’ordine, impiegando anche i vigili urbani. Crudo si è impegnato a sottoporre la necessità ai sindaci». (a.f.)

martedì 12 novembre 2013

Il giudice lo riassume l’azienda lo paga ma lo lascia a casa

Alla Carbotech di Martinsicuro esplode il caso di un operaio I legali del lavoratore: la Fiat fa scuola, ancora diritti violati

TERAMO. Per rientrare in fabbrica i tre operai di Melfi – delegati Fiom licenziati dalla Fiat nel 2010 – hanno dovuto aspettare il pronunciamento della Cassazione. Probabilmente la stessa cosa dovranno fare i cinque della Sevel di Atessa. Non saranno soli. Perchè anche la Carbotech di Martinsicuro, azienda che produce spazzole per motori elettrici e al centro di una recente vertenza con i sindacati, decide di lasciare a casa l’operaio licenziato e reintegrato dal giudice. Sarà regolarmente pagato, ma per ora in fabbrica non rientra. In questi tempi di drammatica crisi dell’occupazione tutto diventa maledettamente più difficile e l’intero diritto del lavoro, come strumento volto a garantire l’equilibrio tra potere imprenditoriale e potere dei lavoratori, sembra dissolversi.
Restano le parole del carteggio tra i legali dell’ azienda e quelli del lavoratore a disegnare i confini dell’ ennesima storia di un’Italia sempre più ai margini. Così l’avvocato Valerio Speziale, per conto dell’azienda, scrive ai due legali dell’operaio: «in attesa che venga esaminata la legittimità del provvedimento giudiziale e deciso il comportamento da seguire, la datrice di lavoro ritiene opportuno ricostituire il rapporto di lavoro con la riapertura della posizione previdenziale, assistenziale ed infortunistica e con la sua reiscrizione nel libro unico ed il compimento di tutte le formalità amministrative connesse al rispristino del rapporto di lavoro. Tuttavia la società non intende al momento utilizzare le prestazioni lavorative dell’operaio. Pertanto il lavoratore non dovrà per adesso svolgere alcuna attività. Ovviamente la società provvederà al pagamento della normale retribuzione per tutto il tempo in cui egli rimarrà a disposizione della Carbotech».
Gridano allo scandalo gli avvocati Francesco Antonini e Sigmar Frattarelli: «l’arroganza dell’azienda nel confermare la natura assolutamente vessatoria e pretestuosa del licenziamento intimato e ritenuto illegittimo dal giudice e nel reiterare la vessazione impedendo al lavoratore di riprendere il servizio nonostante l’esito vittorioso del giudizio, lede gravemente la dignità del lavoratore e il suo diritto a svolgere la propria attività lavorativa che è un diritto garantito dalla Costituzione, la quale nel riconoscere la necessità di una retribuzione adeguata, tutela in primis il diritto del lavoro ed il diritto alla sua esecuzione, essendo considerato il lavoro come mezzo di estrinsecazione della personalità di ciascun ciattadino. Di talchè, come ha avuto modo di sancire la suprema corte di Cassazione, a carico del datore di lavoro grava l’obbligo di adibire il dipendente al lavoro. In caso contrario la sua è una condotta illecita che viola la Costituzione ed i diritti del lavoratore». Il caso di Martinsicuro scoppia a gennaio quando uno dei 60 operai, da dieci anni alle dipendenze della Carbotech, viene licenziato dall’azienda che gli contesta una omissione nel funzionamento delle presse e del forno a cui era addetto durante il turno di notte. L’operaio ricorre al tribunale contestando il provvedimento. Il 30 ottobre scorso il giudice del lavoro di Teramo Giuseppe Marcheggiani accoglie il ricorso e scrive che «non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo e della giusta causa addotti dal datore di lavoro per insussistenza del fatto contestato ovvero perchè il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi dei codici disciplinari applicabili e per questo annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione».

venerdì 1 novembre 2013

Proposta Rinnovo Contratto Integrativo



PROPOSTA DI RINNOVO CONTRATTO INTEGRATIVO AZIENDALE, MORGAN CARBON ITALIA 2014/2016.
- 50 euro di aumento, in aggiunta dell'accordo integrativo 10/04.
-Il passaggio ad una posizione organizzativa superiore per un minimo di 15 lavoratori all'anno, a partire dalle posizioni organizzative inferiori.
-Le agenzie che forniscono i contratti di somministrazione, devono rispettare il ccnl e la contrattazione di secondo livello, previa la non riconferma del contratto con le agenzie di somministrazione.
-L'assunzione (con un contratto a tempo indeterminato o con un contratto di apprendistato) dei lavoratori attualmente assunti con contratto di somministrazione.
Approvata all’unanimità dall’assemblea.

Martinsicuro Lì 25/10/13 La R.S.U

sabato 12 ottobre 2013

Inquinamento a Martinsicuro: gli operai difendono la Morgan


MARTINSICURO. Un tavolo con proprietà, sindacato, comitato e istituzioni per verificare la situazione, le responsabilità e il da farsi. Questo quanto si prospetta per la soluzione del problema dell’inquinamento nella zona industriale di Martinsicuro: un comitato, che sta raccogliendo le firme, dà la responsabilità alla multinazionale Morgan Carbon. A rigettare tali responsabilità sono gli stessi rappresentanti sindacali aziendali. «In passato, più di 20 anni fa, abbiamo fatto battaglie e denunce per migliorare la vivibilità negli ambienti di lavoro e nelle vicinanze», spiegano Mirko Ricci, Alessandro Amadio e Francesco Cancellieri della Rsu, «l’azienda negli ultimi anni ha fatto investimenti importanti sotto l’aspetto ambientale e della sicurezza ed adesso vederla accusata ingiustamente non fa piacere. Abbiamo ottenuto storici risultati per evitare che ci siano problemi. Gli investimenti sulla situazione ambientale dell’azienda vanno riconosciuti così come i continui controlli che nel sito fa l’Arta». Anche facendosi un giro nei reparti si rileva che non ci sono odori nè fumi. A fine mese si potrebbe avere il tavolo di discussione proposto dalle forze sindacali. (s.d.s.)

giovedì 12 settembre 2013






Il lavoro è un diritto... Queste agenzie lo stanno distruggendo!

Falsi Annunci di lavoro

Quello delle agenzie interinali è un capitolo scottante.
Soprattutto per noi poveri precari, spinti da questo sistema di merda a concludere parte delle nostre ricerche di lavoro in una di queste agenzie.

L’agenzia che fotte e sfotte...











Si specifica che i lavoratori dipendenti del somministratore hanno diritto a condizioni di base di lavoro e di occupazione complessivamente non inferiori a quelle dei dipendenti di pari livello dell' utilizzatore, a parità di mansini svolte.
Per condizioni di base di lavoro e di occupazione deve intendersi il trattamento economico, normativo previsto da leggi,contratti collettivi e regolamenti, comprese le condizioni relative a orario di lavoro.
Per tanto le organizzazioni sindacali CGIL,CISL, territoriali, invitano la direzione della Morgan Carbon Italia ad non utilizzare i lavoratori in somministrazione per il lavoro notturno del sabato in quanto non previsto da accordo sindacale.
In caso contrario prenderemo iniziative legali, ed invitiamo la R.S.U alla disdetta dell' accodo sul lavoro straordinario del sabato.

giovedì 1 agosto 2013

31.07.13 - La Cassazione dà torto alla Fiat. I tre compagni Melfi devono tornare al lavoro!

Mercoledì 31 Luglio 2013 17:40
Giorgio Cremaschi - Se Marchionne se ne va e i tre licenziati di Melfi finalmente restano in Fiat ci guadagna il paese. La sentenza della Cassazione fa giustizia dei licenziamenti discriminatori ed antisindacali contro i tre militanti della FIOM di Melfi che avevano semplicemente scioperato contro carichi di lavoro massacranti. Se Marchionne ora vuole trovare un paese dove si possa sfruttare il lavoro senza la fastidiosa intromissione della legge, del sindacato, delle libertà costituzionali, è bene lasciarlo andare e restituire la Fiat al paese che l'ha sempre sostenuta e finanziata. (...)

In Italia c'è bisogno di imprenditori che agiscano nel rispetto delle leggi e dei diritti, mentre non servono proprio coloro che chiedono di eliminare le leggi per poter fare gli imprenditori. Di questi ultimi ne abbiamo avuti anche troppi ed è bene esportarli all'estero, ammesso che abbiano ancora mercato.
Intanto condividiamo la gioia di Antonio Lamorte, di Marco Pignatelli e di Giovanni Barozzino, quella loro e quella di loro familiari che con loro han sofferto in questi anni.
La tenacia ed il rigore di questi compagni alla fine hanno avuto giustizia e sono un incitamento a tutte e tutti coloro che non vogliono mollare nella difesa dei diritti del lavoro. Grazie compagni di Melfi, un grande abbraccio da tutte e tutti coloro che vogliono resistere.

22.07.13 - Il fallimento non sindacabile di Napolitano

di Giorgio Cremaschi


Il 23 giugno del 2011 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in un indirizzo all'assemblea della Confcommercio, poneva come priorità la riduzione del debito pubblico e a tal fine la rigorosa applicazione dei vincoli europei.
Allora il debito era pari a circa il 120% del PIL.
Dopo due anni di politiche di austerità in applicazione dei vincoli europei, attuate da governi promossi e sostenuti dal Presidente della Repubblica, il debito pubblico è al 130 del PIL, quasi 150 miliardi in più .
Questo dato è accompagnato da un milione e mezzo di disoccupati in più, dal calo brutale dei redditi e dei consumi, da una crisi che non accenna minimamente a finire, contrariamente alle chiacchiere di Visco e Saccomanni. La stessa caduta dello spread e degli interessi perde effetto di fronte alla crescita complessiva del debito. Unico dato positivo la Borsa, dove la speculazione ha fatto plusvalenze del 30 %, nonostante la caduta della economia reale, creando così le premesse per una nuova bolla pronta ad esplodere.
Se Giorgio Napolitano fosse formalmente il capo del governo, un simile clamoroso fallimento rispetto ai suoi stesi propositi lo porterebbe a dover rendere conto. Ma come, imponi duri sacrifici per ridurre il debito, e poi il debito aumenta? Quale capo del governo potrebbe continuare tranquillamente di fronte ad una tale smentita delle sue scelte?
Ma Giorgio Napolitano, non è il capo del governo, è il Presidente della Repubblica che rappresenta l'unità della nazione. Le sue responsabilità non esistono, anche se tutti sappiamo che Monti e Letta hanno governato e governano in virtù del sostegno esplicito e a volte brutale del Quirinale.
Ma non è finita qui, perché tutte le istituzioni politiche italiane a loro volta fanno derivare le loro decisioni economiche dai vicoli europei.
Il 4 agosto del 2011 Draghi, allora governatore della Banca d'Italia, e Trichet, allora presidente della BCE, inviarono al governo Berlusconi una lettera che definiva quasi in dettaglio il programma delle politiche di austerità. Tremonti, Monti e Letta hanno seguito scrupolosamente quel copione. A cui si sono aggiunti gli ulteriori vincoli del FIscal Compact e del pareggio di bilancio costituzionalizzato. Tutti sostenuti con la massima forza dal presidente Napolitano.
Il parlamento e i principali partiti di governo, ma anche quelli comunque legati al carro del centrodestra e del centrosinistra, hanno solo potuto ratificare decisione già prese e imposte in altre sedi.
Così, mentre il teatrino del nulla dei partiti imperversa nel circuito mediatico, le decisioni vere sono assunte e sostenute da sedi formalmente irresponsabili. Non vorremo mica uscire dall'Europa, non vorremo mica infrangere l'unità della nazione!
Il Parlamento, unico responsabile di fronte ai cittadini, diviene in realtà privo di responsabilità, non può decidere neppure sugli F35, ha ricordato recentemente il Quirinale. E il presidente del Senato ha fermamente rimbeccato un senatore 5 stelle che va a accanato al ruolo del Capo dello Stato
La nuova legge di bilancio questo autunno sarà varata da un parlamento privo di potere, perché la Commissione Europea potrà intervenire e cambiare le poste, se queste non corrisponderanno ai vincoli del fiscal compact e di tutti gli altri patti europei per l'austerità.
Così questa politica fallimentare andrà avanti perché i suoi veri titolari, la Troika europea ed i Presidente della Repubblica, sono formalmente insindacabili.
Su questa finzione istituzionale affondano l'economia e la democrazia del nostro paese.
È bene allora che le mobilitazioni che finalmente si annunciano per l'autunno si rivolgano non solo verso il governo e i suoi impresentabili partiti, ma verso chi sopra di loro, in Italia ed in Europa, ha preso le decisioni che ci han portato a questo disastro.

Newsletter di del sito Rete28aprile.it


mercoledì 17 luglio 2013

I minatori contro la Thatcher: storia di un'eroica sconfitta

Il più lungo sciopero di massa dell'Occidente dalla prima guerra mondiale: un anno esatto fra il marzo '84 e quello dell'85. Fu una guerra di classe, combattuta su un campo di battaglia vasto quanto la Gran Bretagna DI SALVO LEONARDI
A voler stilare un’ideale classifica delle lotte che più epicamente hanno segnato la storia e l’iconografia del movimento operaio internazionale, quella dei minatori inglesi del 1984-85 occupa a buon diritto una posizione di assoluto rispetto. È stato il più lungo sciopero di massa dell’Occidente dai tempi della Prima guerra mondiale: un anno esatto fra il marzo ’84 e quello dell’85. Fu una guerra, di classe, combattuta su un campo di battaglia vasto quanto la Gran Bretagna.

Nelle brughiere di Scozia, Galles, Yorkshire e Kent si fronteggiano per mesi 165.000 minatori e alcune decine di migliaia di poliziotti. Ci sono i generali (Thatcher e MacGregor, il falco a capo del National Coal Board, da un lato, e Arthur Scargill, per il Num, il potente sindacato dei minatori dall’altro), i piani (quello Ridley per la privatizzazione e l’uscita dal carbone), le tattiche (i picchetti volanti), le battaglie campali che segneranno le sorti finali del conflitto, come ad Orgreave, nella primavera ’84.

Alla fine si conteranno 2 morti, 1750 feriti ufficiali, 11.312 arresti, 5.653 processi per direttissima, un migliaio di licenziamenti solo per rappresaglia. Decine di film, romanzi e canzoni emozioneranno il pubblico di mezzo mondo, inducendolo a schierarsi coi “vinti” (Which side are you on è allora il titolo di una celebre canzone), immortalando per sempre l’eroica sconfitta di una comunità di uomini e donne, incarnazione di un intero pezzo della storia e dell’identità della Gran Bretagna moderna.

16.07.13 - Parte il Congresso: uniamo tutte le opposizioni nel documento alternativo. Un grande impegno da tutte e tutti

Martedì 16 Luglio 2013 14:10
Nota dell'esecutivo R28A - Dopo lo svolgimento del direttivo nazionale CGIL, lo scorso 11 luglio, che ha dato il via al percorso congressuale eleggendo le commissioni, l'esecutivo nazionale CGIL avvia la costruzione del documento alternativo, come deciso dall'ultima assemblea della Rete. L'ultimo direttivo ha confermato che i gruppi dirigenti della vecchia minoranza de "La CGIL che vogliamo" e la maggioranza della FIOM parteciperanno al congresso con lo stesso documento della segreteria confederale, pur rivendicando differenze da esprimere con emendamenti. (...)
D'altra parte le ultime scelte e decisioni della CGIL, in particolare il gravissimo accordo del 31 maggio che lega la rappresentanza sindacale alla rinuncia al conflitto, avevano già visto un accordo di fondo tra i gruppi dirigenti delle vecchie componenti di minoranza e la segreteria confederale.
Si è creata di fatto una nuova maggioranza che, seppure tra polemiche e conflitti di potere, condivide le scelte di fondo.
Solo la Rete ed alcuni compagni della ex minoranza hanno mantenuto il dissenso e la opposizione alla deriva di una CGIL, il cui gruppo dirigente ha scelto di non lottare contro le politiche di austerità e di ricostruire a tutti i costi l'unità con CISL e UIL assieme alla concertazione con la Confindustria.
La manifesta caduta di autonomia della CGIL verso i governi sostenuti dal PD ha costituito un ulteriore elemento di crisi sindacale, che il lavoratori hanno duramente pagato.
Per queste ragioni la Rete28aprile fa appello a tutte le compagne i compagni che non accettano questo stato della CGIL, per costruire un documento e una battaglia congressuale comune.
La condizione terribile del mondo del lavoro, destinata solo ad aggravarsi perché continuano le politiche di austerità, deve essere affrontata da un sindacato confederale e da una Cgil completamente diversi, per linea politica e gruppi dirigenti, da quello che sono oggi. Non è più accettabile che nel momento peggiore da decine e decine di anni, le lavoratrici e i lavoratori, i precari e i disoccupati, i pensionati, siano rappresentati dalla peggiore direzione sindacale.
A tutto questo bisogna reagire e non rassegnarsi.
La Rete fa appello per una battaglia congressuale che serva a rilanciare il conflitto e a rovesciare le politiche di austerità e tutte le complicità e subalternità verso di esse, questa sarà la funzione del documento alternativo alla nuova maggioranza.
Il percorso congressuale preparatorio impegna tutti i primi mesi dell'autunno, quindi c'è tutto il tempo per far sì che esso nasca attraverso al partecipazione diffusa degli iscritti e dei delegati.
La Rete 28 aprile da appuntamento indicativamente per la fine di ottobre per una grande assemblea di tutte le opposizioni in CGIL che vari il documento congressuale alternativo. Prima di quella scadenza in tutti territori e nelle categorie dovrà essere concretamente organizzata l'opposizione già a partire da settembre e per allora l'esecutivo produrrà una prima traccia di temi e rivendicazioni.
La battaglia congressuale consegna alle compagne e ai compagni della Rete una grande responsabilità, quella di dare voce all'enorme malessere e dissenso che sicuramente c è in CGIL, ma che oggi rifluisce nella rassegnazione e nella sfiducia anche perché le vecchie minoranze ora sono schierate con la maggioranza. Questa battaglia è resa più difficile a causa dei gravi fenomeni di autoritarismo e di intolleranza verso il dissenso che percorrono la CGIL e di cui l'ultimo episodio è quello di Napoli.
Ma nonostante tutte queste difficoltà la battaglia è necessaria prima di tutto per gli interessi del mondo del lavoro, e la Rete deve assumerla con rigore e orgoglio.
Sono necessari un grande e generoso impegno militante, una forte unità, una grande solidarietà tra tutte le compagne e i compagni per affrontare questo difficile, ma esaltante impegno.
Diamoci da fare tutte e tutti.


Esecutivo Rete 28 Aprile. 16 Luglio 2013

FIAT: UNA RISORSA PER IL PAESE O IL PAESE UNA RISORSA PER LA FIAT?

Ma è possibile che non ci sia un giudice in Italia che si chieda se le azioni messe in atto dalla Fiat sono lecite? A Pomigliano, dove la cassa integrazione è continua da anni e viene pagata da tutti noi, Marchionne inaugura una serie di giornate di straordinario al sabato per far fronte, dice lui, ad un picco di richieste della nuova Panda. Non contento manda la polizia a picchiare chi si oppone e, come se non bastasse, censura, coadiuvato dallo scodinzolante Bonanni, il vescovo di Nola che ardisce dar ragione a chi sta fuori da anni dalla fabbrica a mezzo salario piuttosto che all’ad Fiat.
Alla SEVEL di Atessa, contestato dagli operai aderenti alla USB per le sempre più pesanti condizioni di lavoro senza diritti all’interno dello stabilimento, il signor Marchionne minaccia tutti dicendo che se non cambieranno le regole questo sarà l’ultimo investimento Fiat in Italia e, per dimostrare la propria lungimiranza e magnanimità, fa intervenire gli operai vicini a Bonanni e Angeletti che leggono discorsi plaudenti preconfezionati dalla direzione aziendale.
Sul fronte degli investimenti mentre, come dicevamo più sopra, continua ad attingere copiosamente ai fondi pubblici per mantenere in cassa integrazione migliaia di operai, lancia la scalata a RCS (Rizzoli Corriere della Sera), definito un “investimento strategico”, il che significa che la FIAT, già proprietaria da sempre de La Stampa, sta pericolosamente accentrando nelle sue mani una fetta consistentissima dell’editoria nazionale, con buona pace del pluralismo e della democrazia.
Ma tutto ciò è lecito? Non è ravvisabile alcun reato nel comportamento di padron Marchionne e della famiglia Agnelli? Utilizzare i risparmi sul fronte della produzione, grazie alla concessione della CIG per migliaia di suoi operai, per avere la liquidità necessaria d acquisire RCS non suscita davvero nessuna riprovazione? Far fare i sabato di straordinario mentre nello stesso stabilimento si fanno anni di CIG, non ha il sapore della truffa?
Licenziare le avanguardie di lotta perché osano mettere in discussione le mancate garanzie e tutele per la salvaguardia della salute dei lavoratori negli stabilimenti, non ha il sapore della rappresaglia? E utilizzare i pedinamenti per fare tutto questo non racconta di uno stato di polizia privato che non è contemplato nella nostra Costituzione?
Servirebbe qualche giudice con la schiena dritta che aprisse un fascicolo giudiziario e dicesse al signor Marchionne che lui è il padrone della Fiat, non del Paese e che non può continuare a fare impunemente quello che vuole. Per noi questo è e rimarrà un punto centrale della nostra battaglia politica e sindacale.

Le misure " Pacchetto lavoro "

Il pacchetto lavoro approvato dal governo stanzia complessivamente 1,5 miliardi di euro distribuendoli tra incentivi all'occupazione, nuova imprenditorialità, stage e tirocini, social card e inclusione sociale


(Labitalia) - Il pacchetto lavoro approvato dal governo stanzia complessivamente 1,5 miliardi di euro distribuendoli tra incentivi all'occupazione, nuova imprenditorialità, stage e tirocini, social card e inclusione sociale. L'obiettivo sul fronte occupazione è di arrivare a coinvolgere 200 mila giovani under 29 al Sud e al Centro Nord: 100 mila di nuove assunzioni e 100 mila tra stage e tirocini. Sul fronte sociale, invece, l'obiettivo è di arrivare a supportare con 167 milioni circa 600 mila persone in condizioni di povertà estrema attraverso l'estensione della vecchia social card ai comuni del Sud sotto i 250mila abitanti, fino al 31 dicembre prossimo, e l'attivazione della nuova Carta per l'inclusione sociale.

INCENTIVI OCCUPAZIONE: come evidenziato dalla tabella allegata al decreto legge, circa 800 milioni andranno agli incentivi, in via sperimentale, per l'impiego degli under 29 con l'obiettivo di occupare almeno 100 mila giovani. Gli sgravi, che prevedono che l'azienda possa accedere alla decontribuzione totale del lavoratore, saranno su 18 mesi nel caso di assunzione a tempo indeterminato di un 'esterno' all'impresa; su 12 mesi invece nel caso in cui si tratti di una trasformare di un contratto a tempo determinato in uno indeterminato. Alla trasformazione deve comunque corrispondere un'ulteriore assunzione di lavoratore.

E' previsto comunque un tetto di 650 euro al mese per ogni lavoratore. Per poter usufruire dei benefici i giovani dovranno rientrare in una di queste condizioni: essere privi di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi, dunque disoccupati e inattivi; o essere privo di un diploma di scuola media superiore o professionale; o vivere soli con una o più persone a carico. Le aziende avranno tempo fino a giugno 2015 per poter sfruttare gli incentivi occupazionali.

STAGE E TIROCINI: circa 15 milioni di euro sono stati postati per l'alternanza università - lavoro con cui tentare di coinvolgere in tirocini circa 10 mila studenti. Potrà accedervi ogni studente universitario che abbia concluso gli esami, con una buona media e sotto una soglia di reddito, al quale lo Stato può riconoscere una specie di mini-assegno di 200 euro al mese per un un tirocinio presso enti pubblici o privati.

- Circa 168 milioni serviranno invece a coprire i tirocini che, si calcola, nella sola Pa in tre anni possano coinvolgere circa 3 mila persone.

- Circa 80 milioni di euro serviranno invece per promuovere l'imprenditorialità al Sud con cui arrivare ad attivare circa 8-10mila neo imprenditori.

- Altri 80 milioni di euro andranno a supportare il no profit con cui attivare almeno 5 mila soggetti, In particolare si prevede di rifinanziare il Piano di Azione Coesione rivolto a enti e organizzazioni del privato sociale che coinvolgano giovani in progetti di valorizzazione dei beni pubblici e per l'inclusione sociale.

Il pacchetto prevede poi tutta una serie di interventi di supporto per fluidificare il mercato del lavoro. A cominciare dalla riduzione a 10 e a 20 giorni degli intervalli di tempo possibili tra un contratto a termine e l'altro per rendere agevole la "flessibilità buona" mentre ha provveduto ad una stretta su altre tipologie.

Per i contratti di lavoro intermittente è stato previsto un tetto complessivo di ore lavorate di poco più di 1 anno complessivamente, ma spalmate nell'arco di 3 anni. Quanto all'apprendistato, il provvedimento prevede che entro il 30 settembre prossimo la conferenza Stato-Regioni adotti le linee guida per disciplinare il contratto che le piccole e medie imprese e le microimprese dovranno adottare entro il 31 dicembre 2015.

Saranno inoltre estese ai co.co.pro e ad altre categorie contrattuali quanto previsto contro le dimissioni in bianco mentre dal pacchetto lavoro escono le norme per allargare le maglie della "flessibilita'" cui il governo aveva pensato per sfruttare l'onda dell'Expo 2015. Nessun allungamento ,dunque, dai 12 ai 18 mesi dei contratti a termine, il primo dei quali senza causale, come aveva pensato originariamente previsto il governo. Una scelta che rinvia ad una "pausa di riflessione" e di opportunità considerato che avrebbe sollevato qualche problema con i sindacati inserire in un decreto legge norme sulla contrattazione.

Resta invece la possibilità di stipulare contratti aziendali in deroga alle leggi in vigore che dovranno essere depositati alle direzioni provinciali del Lavoro per poter essere monitorate. Infine aumenteranno del 10% le ammende previste in caso di violazione delle norme sulla sicurezza e l'igiene sul posto di lavoro con cui finanziare nuovi interventi per la sicurezza

lunedì 17 giugno 2013

Care compagne, cari compagni,

In allegato il volantone corretto e aggiornato, nel frattempo UGL ha firmato, sull'accordo sulla rappresentanza. Come vedrete, più si legge il testo del patto più saltano fuori cose gravissime contro la democrazia e gli stessi principi fondanti al CGIL... Sene trovate altre che ci sono sfuggite, segnalatelo...
È utile organizzare riunioni anche di piccoli gruppi per conoscere il testo del patto, visto che la propaganda dei firmatari parla di altro e tiene all'oscuro i veri contenuti.

Ricordiamo che il 29 giugno a Roma c è l'assemblea nazionale della rete 28 aprile, sull'accordo e sul congresso.. La segreteria CGIL e le strutture sono state formalmente informate per le agibilità...

Un abbraccio e buon lavoro...

Giorgio Cremaschi



Fwd: testo accordo rappresentanza

Lettera aperta a Maurizio Landini

Di Carlo Guglielmi, Forum Diritti e Lavoro - Caro Landini, hai commentato l’accordo interconfederale del 31 maggio sulla rappresentanza dal sito della tua organizzazione (e poi ribadito nell’intervista rilasciata sabato al Manifesto) giudicandolo “positivo e importante… un passo avanti in materia … di democrazia nei luoghi di lavoro” che riconosce “il valore delle nostre lotte” e che “parla alla politica perché risolve…quella che è una crisi generale della rappresentanza”. Ed invece - interrogato sui “problemi che restano aperti” - l’unico limite che hai identificato è che il patto “non risolve il problema della Fiat”, ed è “proprio per questo necessario arrivare comunque ad una legge” che evidentemente speri possa ricalcare i medesimi contenuti dell’accordo. (...)
Ed allora vediamo quali sono questi contenuti. Nell’accordo del 31 maggio si poggia la rappresentatività sindacale su due gambe: le “iscrizioni certificate” e “il dato elettorale” nelle elezioni per le Rsu. Le “iscrizioni certificate” sono le “deleghe” ovverosia le trattenute sindacali operate dai datori di lavoro, di cui - dopo gli sciagurati referendum del 1995 - solo i sindacati firmatari di contratto (sostanzialmente Cgil Cisl e Uil) hanno diritto. E davvero non credo che proprio tu possa ritenere che l’esclusione dalla possibilità di rappresentare i lavoratori dei sindacati che non hanno firmato il contratto nazionale sia “un passo avanti in materia… di democrazia nei luoghi di lavoro”. Ma ancora più rilevante è l’analisi della seconda gamba, ovverosia “il dato elettorale” nelle elezioni per le Rsu . Ed infatti in base all’accordo del 31 maggio nei posti di lavoro (di certo prevalenti) ove i lavoratori già oggi non votano per eleggere i propri rappresentanti si potrà procedere al “passaggio alle elezioni delle Rsu ….solo se definito unitariamente dalle federazioni aderenti alle Confederazioni firmatarie il presente accordo” con pesantissimo arretramento rispetto al protocollo del 1993 che prevedeva il potere di impulso a qualsiasi sindacato raccogliesse il 5% delle firme dei lavoratori e aderisse alle procedure elettorali di cui al protocollo stesso. Con il patto del 31 maggio il diritto di scelta dei propri rappresentati non è più neppure formalmente dei lavoratori ma diviene una facoltà di Cgil, Cisl e Uil azionabile discrezionalmente a seconda delle convenienze azienda per azienda. Insomma, quand’anche la Fiat rientrasse in Confindustria, comunque senza il consenso di Fim e Uilm e Federmeccanica i lavoratori non potrebbero votare. Ma addirittura stupefacente è la successiva previsione contenuta nell’accordo del 31 maggio per cui comunque - laddove le elezioni delle Rsu invece si terranno - “ai fini della misurazione del voto espresso da lavoratrici e lavoratori nella elezione della Rappresentanza Sindacale Unitaria varranno esclusivamente i voti assoluti espressi per ogni Organizzazione Sindacale aderente alle Confederazioni firmatarie della presente intesa”.
Insomma - dato che tu stesso additi le regole dell’accordo di venerdì scorso “alla politica” come strumento per “risolve(re)…quella che è una crisi generale della rappresentanza” - è come se consigliassi all’omologo governo di larghe intese di fare una riforma elettorale che dica che il cittadino può scegliere il partito che vuole ma poi, per la distribuzione dei seggi in Parlamento, varranno esclusivamente le tessere e i voti espressi per i soli partiti aderenti alla maggioranza che sostiene il Governo Letta-Alfano, realizzando un sistema quanto meno”protetto” cioè autoritario.
Ed ancora più stupefacente è che, alla domanda sui limiti dell’accordo, tu abbia del tutto omesso di riferire come per te (e per la tua organizzazione) sia almeno un “problema” il fatto che l’accordo del 31 maggio non solo prevede “l’impegno... a non promuovere iniziative di contrasto agli accordi” ma che ad esso si aggiunge il rinvio ai contratti di categoria per identificare “le conseguenze di eventuali inadempimenti”. E così il patto del 31 maggio ha fatto cadere persino la davvero minimale clausola di garanzia contenuta nell’accordo del 28 giugno 2011 che quanto meno imponeva che le sanzioni riguardassero “non i singoli lavoratori” avendo invece da oggi i contratti nazionali facoltà di colpirli qualora vogliano mettere in campo “iniziative di contrasto” (come subito rilevato dal vicepresidente di Confindustria Dolcetta sul Sole 24 ore del 2 giugno). Insomma forse per qualche giorno la tua personale credibilità e quella della tua organizzazione potranno impedire ai più di comprendere appieno i contenuti dell’accordo e quindi prendere per buona la tua affermazione per cui l’accordo del 3 maggio “riconosce il valore delle nostre lotte”. Ma il punto è che quando dici “nostre” non puoi fare riferimento solo al gruppo dirigente nazionale che ti sostiene e neppure alla sola Fiom ma lo devi fare al ben più ampio movimento di cittadini, studiosi, personalità pubbliche, associazioni, partiti e altri sindacati che con te si sono attivati e battuti. Ti ricordo allora che le “nostre” lotte non erano per sostituire la regola dell’art. 19 dello Statuto per cui può rappresentare i lavoratori solo chi firma il contratto con la nuova regola del 31 maggio per cui possono rappresentare i lavoratori solo Cgil Cisl e Uil. Le “nostre” lotte non erano solo per ottenere il doverosissimo reingresso della Fiom ai tavoli della contrattazione e nella pienezza dell’agibilità sindacale (trattenute, diritto di assemblea eccetera) in cambio della rinunzia al conflitto sindacale e giudiziario. Le “nostre” lotte erano per l’esatto contrario: un nuovo protagonismo conflittuale e democratico dei cittadini al lavoro. E già da sabato e domenica sono iniziate sia a Roma che a Milano contestazioni spontanee che presumibilmente non tarderanno molto ad estendersi via via che si sarà compreso il contenuto del patto del 31 maggio. Credo quindi tu abbia oggi tre scelte davanti a te da prendere molto rapidamente. La prima è dire che il tuo giudizio positivo atteneva alla scelta di contare voti e tessere ma che non approverai mai nessun accordo e nessuna legge che non prevederanno il diritto universale dei lavoratori di votare e il corrispondente dovere di contare voti e tessere di tutti i lavoratori senza alcuno scambio con il diritto al conflitto, continuando così ad essere uno dei protagonisti assoluti della battaglia per la democrazia sul posto di lavoro. La seconda scelta è dire la verità sui disastrosi contenuti dell’accordo del 31 maggio e provare a spiegare la tua posizione per tentare di tenere unito un filo di confronto con i moltissimi che hanno guardato alla Fiom e a te personalmente con speranza e fiducia e che ora si sentono abbandonati e delusi. La terza scelta è continuare a sostenere che l’accordo del 31 maggio sia “positivo e importante… un passo avanti in materia …di democrazia nei luoghi di lavoro” da generalizzare per legge, diventando così tu di fatto un vero e proprio ostacolo (forse il maggiore) sulla strada della democrazia del lavoro in questo paese. Nella sincera speranza tu voglia scegliere la prima strada, ti invio un cordiale saluto
Roma, 3.6.2013
Carlo Guglielmi, Presidente del Forum Diritti Lavoro

domenica 26 maggio 2013

Infortuni, risponde tutto il cda

Giovanni Negri21 maggio 2013



MILANO
In materia di sicurezza lavoro la responsabilità è di tutto il consiglio di amministrazione. A meno che, con delibera, la posizione di garanzia non venga affidata a un singolo consigliere. Lo precisa la Corte di cassazione, con la sentenza n. 21628 della Quarta sezione penale, intervenuta sul caso di un incidente mortale verificatosi a Genova.
La Cassazione, a proposito della determinazione del perimetro della responsabilità in un'impresa gestita da una società di capitali, avverte che l'orientamento ormai consolidato è quello dell'assegnazione degli obblighi in materia di infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro in capo, indistintamente, a tutti i componenti del consiglio di amministrazione. In linea generale, infatti, il presidente del consiglio di amministrazione di una società di capitali non può da solo essere considerato rappresentante della società; la rappresentanza appartiene invece all'intero consiglio di amministrazione.
Con un'eccezione però: l'approvazione da parte del cda di una delega conferita a un singolo consigliere o amministratore delegato che trasferisce l'obbligo di adottare le necessarie misure antinfortunistiche e di vigilare sulla loro applicazione dallo stesso cda al delegato. In capo al consiglio di amministrazione, a questo punto, rimane un generico dovere di controllo sul generale andamento della gestione e di intervento sostitutivo nel caso di mancato esercizio della delega.
Nel caso approdato in Cassazione si era verificato proprio questo passaggio: una specifica delibera aveva assegnato al presidente del consiglio di amministrazione anche le funzioni di «datore di lavoro per la sicurezza». In questo modo, sottolinea la Cassazione, era duplice la funzione di garanzia assunta: come datore di lavoro, nella veste di presidente del cda, e come destinatario della specifica delega per la sicurezza conferita da parte del cda.
A scansare la responsabilità non è poi servita neppure l'esistenza, nell'organigramma aziendale, della figura del responsabile del servizio di prevenzione e protezione. Su questo punto la sentenza ricorda che la responsabilità penale del datore di lavoro in materia di sicurezza non è esclusa per la sola designazione del responsabile del servizio. Si tratta infatti di un soggetto che non è titolare di alcuna posizione di garanzia quanto al rispetto della normativa antinfortunistica e che agisce piuttosto da ausiliario del datore di lavoro. E a quest'ultima tocca sempre provvedere alla neutralizzazione delle situazioni di rischio.
La Corte fa però un passo in più e introduce anche il diverso istituto della delega di funzioni. «Solo tale istituto, comportando il subentro del delegato nei poteri e nelle prerogative connesse alla posizione di garanzia del datore di lavoro, quale diretto destinatario degli obblighi inerenti la sicurezza dei lavoratori, determina un esonero di responsabilità di quest'ultimo in quanto le funzioni anzidette vengono trasferite al delegato». Nessuna confusione quindi è possibile tra i due istituti.
Per i giudici, infine, una delega, per essere completa, deve prevedere necessariamente alcuni requisiti: trasferimento di poteri deliberativi, di organizzazione e gestione, riconoscimento di un'autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate. Non risponde allora certo a queste condizioni quanto si era verificato nella società e cioè il conferimento di un incarico di consulenza esterna per l'organizzazione di un piano operativo degli adempimenti in materia di sicurezza. A salvare il presidente del cda, cui però la Corte ha ritenuto possibile la concessione delle attenuanti, non è servito neppure lamentare una sostanziale imperizia tecnica.

Esodati e riforma pensioni, ok dell’Inps sull’uscita flessibile dal lavoro


Uscita dal lavoro in anticipo o in ritardo: l’Inps dice sì
L’unica via di prevenire il ripetersi di altre sciagure come quelle degli esodati è mettere mano alla riforma delle pensioni. Ne sono convinti sia dalle parti del governo che negli uffici previdenziali dell’Inps, naturalmente in prima linea sul fronte della sostenibilità del welfare. Così, prende corpo la proposta di uscita anticipata firmata dall’ex ministro del Lavoro Damiano, mentre il titolare del dicastero, Enrico Giovannini, spiega il diverso trattamento riservato a chi esodati lo è già e chi, invece, lo potrebbe diventare.
Sul fronte della riforma delle pensioni, l’ipotesi che va per la maggiore è quella che prevede il ritiro anticipato dall’occupazione anche a 62 anni di età e 35 di contributi – dunque con minimo 3 anni rispetto alla normativa attuale – con l’introduzione, però, del taglio di almeno 1,5 volte l’assegno sociale previsto. Insomma, si apre una finestra per chiudere la propria carriera professionale, ma il prezzo da pagare è alto. Allo stesso modo, la misura dovrebbe trovare un contrappeso nel pacchetto di incentivi previsti nei confronti di chi, invece, sceglierà la via opposta, con il bonus nella mensilità previdenziale per ogni anno lavorato in più. Da ultimo, per gli irriducibili della scrivania, si sta vagliando anche la possibilità dell’addio soft al posto di lavoro, volgendo il proprio rapporto da tempo pieno a part time, e favorendo, in questo modo, l’ingresso di nuovi giovani come apprendisti o, ancor meglio, con rapporti a tempo indeterminato.
Questo, il quadro – ancora da discutere – della prima bozza di proposta che vede accorpate le due anime, quella dall’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano, esponente Pd e presidente della Commissione competente alla Camera dei deputati, e, naturalmente, del successore di Elsa Fornero, Enrico Giovannini. Ma il progetto di riordino della riforma pensioni, principale responsabile della falla esodati, ha già convinto un altro sponsor di primissima fascia, se è vero che, giusto ieri, il presidente dell’Inps Antonio Mastrapasqua si è detto convinto che il sistema messo in cantiere avrebbe un’entità sopportabile per le casse dello Stato.
E proprio sul problema esodati, l’Inps, seppure a rilento, continua negli esami delle proposte, con il primo resoconto pubblicato a seguito dell’insediamento del nuovo ministro. A questo proposito, sempre nella giornata di ieri, Giovannini ha confermato al Senato che, dei 65mila salvaguardati previsti con il primo dei tre decreti, i 3mila ancora scoperti verranno reintegrati nelle successive operazioni di tutela, che dovrebbero portare al salvataggio di 130.130 ex lavoratori senza pensione.
Resta, comunque, il fatto che il numero dei lavoratori già ammessi al trattamento pensionistico superi di poco le 7mila unità, dunque ben lontano dalle cifre già messe in preventivo. Gli esclusi, ha spiegato il ministro, dovranno attendere ancora “non perché l’Inps sia in ritardo rispetto al trattamento degli altri casi, ma perché si tratta di salvaguardati che andranno in pensione progressivamente”.
A tal proposito, Giovannini ha messo in guardia di non confondere quelli comunemente denominati “esodati” dagli altri invece “esodandi”, “cioè persone che in futuro si troveranno in questa condizione”. In aggiunta, si trovano anche i cosiddetti “bloccati”, ossia coloro che “sono destinati a perdere il posto di lavoro e non avranno ancora maturato i requisiti per la pensione”.
Insomma, una pluralità di casi e di situazioni che, a parere di Giovannini, richiede una revisione mirata del sistema, che trova nella flessibilità di uscita dal mondo del lavoro un primo, importante appiglio per prevenire ulteriori, e potenzialmente irreversibili crisi previdenziali. Si tratta, ha detto il ministro di “un disegno del sistema che va modellato in modo molto attento, per le implicazioni sia sulle persone sia sugli elementi finanziari di sostenibilità del sistema.”

martedì 23 aprile 2013

Organizzazione Nuova R.S.U

Alla direzione della Morgan Carbon Italia
Alle maestranze c/o stabilimento



OGGETTO: comunicato R.S.U
La R.S.U comunica che la sua organizzazione è così composta:
Cancellieri Francesco segretario R.S.U
Cretoni Mauro rappresentante per la Sicurezza
Ricci Mirko rappresentante Comitato Aziendale Europeo. respons. Busta paga
Allevi Davide respons. CCNL contrattazione secondo livello
Amadio Alessandro respons. CCNL orario di lavoro
Ti Deodoro Claudio respons. Fondo Bilaterale
Acciarri Raffaele rappresentante per la Sicurezza esterno alla R.S.U


Martinsicuro Lì 02/04/03

La R.S.U

Grecia/Multinazionali chiedono salari da 250 euro

Ma alcune si spingono oltre: aboliamo gli stipendi minimi. Chiesta anche abolizione della liquidazione. Richiesta avanzata da undici aziende, tra cui la Barilla.



La Barilla è una delle undici aziende che hanno avanzato le proposte shock al governo greco.
di Franco Fracassi

Stipendi mensili di 250-300 euro, solo per il lavoro part-time e modifiche nel diritto del lavoro per evitare di incorrere al pagamento degli indennizzi. Questa proposta è stata annunciata durante un incontro tra il ministro greco dello Sviluppo Economico Kostis Chatzidakis e i delegati di undici società multinazionali, tra cui Barilla, Bic Violex e Nestle.

Secondo l'edizione domenicale del "To Vima", agli occhi dei dirigenti delle multinazionali, un'ulteriore riduzione degli stipendi sarebbe un prerequisito per l'incremento della competitività.

«Investiremmo molto di più, se la Grecia fosse più propensa agli investimenti», hanno dichiarato all'unisono gli undici dirigenti, chiedendo una limitazione delle pratiche burocratiche, una riduzione dei costi energetici e una semplificazione delle procedure per svolgere le attività produttive.

Tuttavia, i dirigenti hanno sorpreso il governo greco quando hanno sollevato la questione di un'ulteriore riduzione degli stipendi, in modo particolare per i giovani disoccupati.

«Non riusciamo a capire perché debba esistere un limite minimo di stipendio in un Paese in cui la disoccupazione giovanile ha raggiunto livelli inverosimili. Dateci la possibilità di assumere giovani lavoratori a poco prezzo. Lavoreranno meno ore e meno giorni alla settimana», ha suggerito Giorgios Spilopoulos, amministratore delegato di Barilla Hellas.

«Non è in mio potere, passerò la richiesta a chi di dovere», ha risposto il ministro Chatzidakis, sottintendendo che inoltrerà la richiesta al ministro del Lavoro.

«Esattamente, che livello minimo di stipendio intende?», ha chiesto un funzionario del ministero.

«Potremmo dare 250-300 euro al mese per un lavoro part-time, tre o quattro giorni alla settimana», hanno proposto otto dirigenti su undici, durante il lungo dibattito tenuto dai manager di Barilla (che su questo punto si è dissociata), Bic Violex e Nestle.

Il delegato della Nestle, Raymond Franke, ha posto inoltre un'altra questione sul tavolo delle condizioni di lavoro: «Va ridotto anche il tempo per informare un dipendente del suo licenziamento», per poter evitare di incorrere al pagamento della liquidazione ai dipendenti licenziati.

«Il governo crede che gli stipendi minimi non possono essere ulteriormente ridotti», ha rammentato Chatzidakis ai dirigenti. Tuttavia, i delegati delle multinazionali si sono dimostrati determinati nel portare avanti le loro richieste.

Secondo gli ultimi dati, la disoccupazione in Grecia ha raggiunto il 27% nel novembre 2012, e i giovani disoccupati sarebbero il 60,1%.

Dopo un'interminabile pressione da parte della Troika, il minimo salariale era stato ridotto nel febbraio 2012 a 586 euro lordi al mese (510 euro mensili per i giovani sotto i 25 anni).

Pagare 250 euro i lavoratori part-time significa pagare 500 i lavoratori a tempo pieno. Ovviamente, i part-time hanno meno diritti, non hanno vacanze, bonus e un risarcimento molto più basso quando vengono licenziati 41.

sabato 16 marzo 2013

Eletti della R.S.U. Morgan Carbon Italia






Cancellieri F. 15 Voti Cgil

Amadio A. 13 Voti Cgil
Cretone M 13 Voti Cgil
Allevi D 13 Voti Cgil
Ti Deodoro 11 Voti Cisl


Acciarri R 12 Voti Cgil primo dei non eletti

venerdì 8 marzo 2013

ELEZIONI R.S.U.


Candidati alla R.S.U Candidati al Cae



Acciarri R. Cgil Ricci M. Cgil

Allevi D. Cgil

Amadio A Cgil

Cancelliri F. Cgil

Cretone M. Cgil

Paci F. Cisl

Ti Teodoro C. Cisl


Si voterà Martedì 12 Marzo Dalle ore 13.00 alle ore 15.00 dalle ore 21.30 alle ore 22.30 presso la sala ristoro

mercoledì 13 febbraio 2013

Aspi, mini Aspi, Cassa integrazione: interessati e quote 2013
Rese note dall’Inps le mensilità per il 2013. Netto mensile a € 1085,57



Rese finalmente ufficiali le quote definitive per la Cassa integrazione, Aspi e mini Aspi per il 2013. Le cifre sono contenute nell’ultima direttiva Inps in materia, classificata come circolare 14 del 30 gennaio 2013.

Le cifre erano particolarmente attese perché, a partire dal primo gennaio, è entrata ufficialmente in vigore la nuova Aspi – Assicurazione sociale per l’impiego – che sostituisce di fatto la vecchia indennità di disoccupazione e, in aggiunta, anche la mobilità.

Le due modalità di sostegno si rivolgono a platee diverse e hanno durate temporali differenti: nello specifico, vediamo come l’Aspi vada riferita a tutti quei lavoratori trovatisi in stato di disoccupazione dopo il primo gennaio 2013, con esclusione di dimissioni e risoluzione consensuale del contratto. Necessari, inoltre, almeno due anni di contributi versati e almeno uno nel biennio precedente il licenziamento.

Riguardo la mini Aspi, invece, essa coinvolge anche coloro che abbiano ricevuto il benservito prima dell’inizio del 2013, e riguarda tutti coloro che, licenziati, abbiano incamerato almeno 13 settimane di contributi nei 12 mesi antecedenti l’abbandono del posto di lavoro.

Per tutti i potenziali interessati, numerosissimi com’è ovvio, le quote definite dall’Inps ammontano rispettivamente a 1152,90 euro, sia per l’Aspi che per la mini Aspi, per tutto il 2013.

Questo, il lordo, che, poi, si tramuta in un netto pari a 1085,57 euro per i salari al di sopra dei 2075,21 euro. Per tutti coloro che si trovano al di sotto di tale limite, l’assicurazione versata ammonterà a 903,20 euro netti mensili.

A essere investiti delle misure saranno tutti i contratti di somministrazione di lavoro dipendente, con esclusione dei dipendenti pubblici, dei contratti stagionali e degli extracomunitari con permesso di soggiorno legato all’occupazione.

Va ricordato che, per l’Aspi, la durata prevista è di 8 mesi al di sotto dei 50 anni, per un anno intero per chi è più anziano: questo per la versione standard dell’ammortizzatore che, invece, nella sua versione “mini” durerà per un massimo di settimane pari alla metà di quelle riconosciute l’anno precedente il licenziamento.

E arriviamo alla Cassa integrazione che, così come la mobilità, viene stabilito per tutto il 2013 a 1152,90 euro mensili, che come sopra, diventano 1085,57 netti.

Leggi la circolare Inps integrale sulle somme di Aspi, mini Aspi e Cig

Rinnovo della R.S.U. Morgan Carbon Italia

Si é costituita la commissione elettorale composta da Iannotti Ivano, Schiavi Luca, Bruno Crescenzi, a cui dovranno pervenire le candidature, entro il 1 Marzo 2013, per il rinnovo della R.S.U e del delegato al comitato aziendale europeo.

Licenziato un delegato Fiom


Lunedì 11 Febbraio 2013 09:10
Solidarietà al compagno Luciano, licenziato grazie alla Fornero! Segue la sua lettera. (...)
La Ykk Snap Fasteners Italia S.p.A. di Colonnella (TE) è una società
multinazionale leader mondiale nel settore bottoni e accessori per
abbigliamento che nasce nel 1990 nel comune di Colonnella zona limitrofa
a quella industriale Ascolana, sfruttando i fondi della cassa del
Mezzogiorno ( da notizie trapelate circa 4 miliardi di vecchie lire a
fondo perduto) impiegando circa 47 dipendenti. Non è nuova ad azioni di
discriminazione nei riguardi di lavoratori scomodi sindacalizzati,
utilizzando processi di ristrutturazione. Nel 1999 difatti licenzia 4
dipendenti, giustificando i licenziamenti con la soppressione del posto
di lavoro; i lavoratori impugnano il licenziamento dinanzi al giudice
del lavoro del Tribunale di Teramo e dopo una estenuante battaglia
legale durata 5 anni vengono reintegrati con una sentenza confermata in
pieno dalla Corte di Appello dell'Aquila. Una volta rientrati in
fabbrica si organizzano per via sindacale appoggiandosi alla Fiom ed
ottenendo la maggioranza dei delegati in fabbrica; ma la rappresaglia
aziendale non tarda ad arrivare allorquando attesa a giugno la riforma
del mercato del lavoro a fine luglio viene annunciata una
ristrutturazione con una riduzione di personale di 12 unità su 47
previsti in organico. Inizia da subito un serrato confronto sindacale
sfociato in manifestazioni e scioperi spontanei a cui seguono incontri
per arrivare ad un accordo condiviso e il meno traumatico possibile
attraverso prepensionamenti ed esodi incentivati, avendo l'azienda
rifiutato decisamente l'utilizzo di ammortizzatori sociali praticabili
(rinnovo dei contratti di solidarietà, cigs,...). Seguono incontri tra
dicembre e gennaio in Provincia senza esito e quindi firmando un verbale
di mancato accordo a cui l'azienda si è presentata con un'ora e mezza di
ritardo, intenta com'era con la complicità della Uil(ma non dei loro iscritti che mi hanno dato fiducia e sostegno) nella stessa
mattinata a raccogliere una sottoscrizione di 25 firme di lavoratori a
stipulare un accordo. Ne nasce un alterco violento in quanto la Fiom si
rifiuta di firmare, sostenendo a ragione, che il giorno prima c'era
stata un'assemblea che aveva largamente approfondito la problematica. La
Uil con la complicità della Provincia fa allegare al verbale di mancato
accordo la raccolta di firme che la Fiom contesta. A quel punto la
Direzione aziendale sceglie di inviare 10 lettere di licenziameto di cui
sette chiuse con una transazione a suo tempo oggetto della trattativa di
un massimo di 60.000 € e di inviare le restanti tre lettere di
licenziamento, di cui una alla RSU Fiom nonchè membro del direttivo
Provinciale e le altre due a un iscritto Fiom e ad un iscritto Cobas. I
tre lavoratori licenziati forzosamente impugneranno il licenziamento per
discriminazione e per violazione dei criteri di scelta in base alla
legge 223/91, sfidando la controriforma Fornero sul mercato del lavoro.
Impiccini Luciano Rsu Fiom, Direttivo Proviciale Teramo.

mercoledì 30 gennaio 2013

Salari, aumento ai minimi dal 1983

Crescita dei prezzi doppia rispetto a quella delle retribuzioni

Le retribuzioni contrattuali orarie nella media del 2012 sono aumentate dell'1,5% rispetto all'anno precedente. Lo rileva l'Istat, aggiungendo che si tratta della crescita media annua più bassa dal 1983.
Nella media del 2012 la forbice tra l'aumento delle retribuzioni contrattuali orarie (+1,5%) e l'inflazione (+3,0%), su base annua, è stata di 1,5 punti percentuali.
Quindi la crescita dei prezzi è stata doppia rispetto a quella dei salari. Si tratta del divario maggiore, a sfavore delle retribuzioni, dal 1995.
Alla fine del 2012, inoltre, sono scaduti 32 contratti, di cui 16 nella pubblica amministrazione, e i dipendenti in attesa di rinnovo sono 3,709 milioni (circa 3 milioni nel pubblico impiego)

Produttività: CGIL, decreto inadeguato e sbagliato, peggiorato accordo separato

In una nota la Segreteria Nazionale del sindacato di Corso d'Italia boccia il dpcm sulla detassazione del salario di produttività: "si tratta di un grave intervento sull'autonomia della contrattazione" e "non contiene criteri per la crescita della produttività"




Il provvedimento sulla produttività è “inadeguato e sbagliato, nella forma e nella sostanza” e per questo il giudizio della CGIL è “negativo”. In una nota la Segretaria nazionale del sindacato di corso d'Italia analizza e commenta il dpcm sulla detassazione del salario di produttività, motivando così la bocciatura: “Nella forma riprende e addirittura peggiora i contenuti dell'accordo separato sulla produttività, nella sostanza perché è sprovvisto di criteri che possano effettivamente incidere su una autentica crescita della produttività”.

Nel dettaglio nella nota si osserva che il decreto “cancella, in via definitiva, qualsiasi riferimento a voci previste dai contratti nazionali di lavoro (turni, lavoro notturno, lavoro festivo e domenicale). Voci che costituiscono prestazioni che incidono, più di altre, sulla produttività e sulla competitività delle imprese con il risultato di ridurre così le retribuzioni dei lavoratori interessati a queste prestazioni in quanto non più beneficiari della detassazione riconosciuta negli anni passati”.

In alternativa, spiega ancora la segreteria della CGIL, “vengono introdotti criteri del tutto avulsi da questi contesti di orario, quali la fungibilità delle mansioni (leggi demansionamento), l'impiego delle nuove tecnologie in rapporto alla salvaguardia dei diritti dei lavoratori (leggi controllo a distanza) che possono al contrario deprimere la produttività perché peggiorano le condizioni di lavoro e i diritti delle persone”. Il sindacato punta inoltre il dito contro “l'altrettanto grave intervento sull'autonomia della contrattazione, e quindi sull'attuale previsione dei contratti nazionali, laddove il decreto prevede il criterio del non superamento delle due settimane di ferie consecutive e della programmazione non continuativa delle giornate residue per poter usufruire della detassazione.

L'unico aspetto “salvaguardato dal decreto” è per la CGIL “la conferma della detassazione sui premi di produttività che costituisce una prassi per larga parte della contrattazione svolta in questi ultimi ultimi anni”. Infine, per quanto riguarda gli importi, “se da una parte è stata recepita la richiesta dell'innalzamento a 40 mila euro del reddito di riferimento su cui agisce la detassazione, dall'altra è stato ridotto a 2.500 euro il tetto dei benefici per singolo lavoratore che negli anni passati era previsto fino a 6 mila e poi sceso a causa dei tagli intervenuti”. Per queste ragioni, quindi, conclude la nota Cgil, “il nostro giudizio sul decreto è negativo. Si tratta ora di verificare nel rapporto con le controparti se esistono le condizioni concrete entro le quali la contrattazione collettiva può esercitare comunque una funzione positiva per affrontare il rapporto tra salari e produttività, in un quadro di corrette relazioni tra le parti”.

domenica 20 gennaio 2013

Se il datore di lavoro non è puntuale nei versamenti dei contributi non è colpevole di evasione bensì di omissione


Lilla Laperuta
In materia di obbligazioni contributive nei confronti delle gestioni previdenziali ed assistenziali, la Corte di Cassazione si è pronunciata a favore dell'ipotesi più lieve di omissione contributiva, a fronte della non corretta e non puntuale trasmissione delle denunce contributive mensili e della effettuazione dei conseguenti versamenti. Con la sentenza n. 896 pubblicata il 16 gennaio 2013, la Corte di Cassazione specifica, invero, che l'omessa o infedele denuncia mensile all'INPS (attraverso i cd. modelli DM10) di rapporti di lavoro o di retribuzioni erogate, ancorché registrati nei libri di cui è obbligatoria la tenuta, concretizza l'ipotesi di "evasione contributiva" di cui all'art. 116, L. 388 del 2000. Si configura, invece, la meno grave fattispecie di "omissione contributiva" contemplata dalla medesima norma, allorquando, come nella fattispecie in esame, il datore di lavoro, pur avendo provveduto a tutte le denunce e registrazioni obbligatorie, ometta il pagamento dei contributi. Deve infatti ritenersi, ad avviso della Suprema Corte, che l'omessa o infedele denuncia configuri occultamento dei rapporti o delle retribuzioni o di entrambi e faccia presumere l'esistenza della volontà datoriale di realizzare tale occultamento allo specifico fine di non versare i contributi o i premi dovuti. Conseguentemente, grava sul datore di lavoro inadempiente l'onere di provare la mancanza dell'intento fraudolento e, quindi, la sua buona fede.